venerdì 20 dicembre 2013

il male dei professori

il male dei professori è che a lungo andare danno voti alle persone e non sono ai testi, ai compiti, all'operato. Si permettono dall'alto della loro esperienza e dedizione di giudicare la persona. Di certo sono tenuti a dare un giudizio (che peraltro forse dimenticano, contiene anche un giudizio al loro insegnare), ma questo giudizio s'allarga s'allarga, e perdono di vista il punto, la differenza tra ciò che una persona è e ciò che loro sono tenuti a giudicare.
il male dei professori è che sono professori anche al bar, anche a cena, in treno, anche a letto forse.

mercoledì 18 dicembre 2013

Homeland 3.12

finisce homeland, adesso.
nell'ultimo paio d'anni è una delle poche serie che mi sono permessa di guardare (per problemi di dipendenza e di estrema immedesimazione).
e così, oggi pomeriggio, in solitudine, mi sono goduta l'ultima puntata.
e brody muore impiccato in pieno stile iran. e sono contenta che nessuno me l'abbia detto, e sono contenta che ci sia nessuno che ha guardato la serie e che conosco con cui confrontarmi, perché non ne avrei voglia. perchè questa fine mi lascia a posto.
e non m'importa se carry terrà il bambino o no, e sono contenta che lei e il pargolo e brody non siano diventati una famiglia come per un attimo ho temuto. perchè se propinavano la famiglia anche qui non so, stonava, di nuovo mi sarei sentita quella sbagliata.


giovedì 5 dicembre 2013

La festa dell'insignificanza

Si tende a volere, a pretendere sempre di più. A leggere il proprio autore, riconoscerlo, ma rimanere anche un po' delusi. Ché poi uno aspetta da quattro anni e s'aspetta un'altra immortalità, ne ha bisogno, no?
La festa dell'insignificanza è carino. Sì, carino. Ma lo scherzo e l'immortalità a me piacciono di più, tanto di più. Molto breve, troppo costoso per esser così breve.
Tre parti bellissime. Un intreccio difficile, una struttura che occhiolina a un sacco di strutture. Amarezza. Tanta amarezza tra le righe. E risate, ma in fondo è così no? l'amarezza grande è quella nel riso. E Stalin. Uno stalin affascinante, sopra tutti.
(come kundera in queto libro? un autore per niente benevolo col lettore, che mischia i piani più spesso del solito, tanto spesso. ma io l'ho letto col post-it dei nomi, ho seguito attenta, eppure lo stesso in un paio di parti mi sono persa, il romanzo era distrutto, volutamente, impietosamente distrutto. e il lettore doveva lasciarsi portare un attimo su un attimo giù, con ritmi diversi da quelli soliti suoi che ho sempre sentito anche miei. è invecchiato? è più saggio? voleva schiaffeggiarci? è costruito bene come sembra o leggiamo noi questa costruzione inaccessibile come passo avanti? perchè sì, come tutti gridano K. è un supergrande, ma è anche un uomo no? e magari qui è tutto un grande scherzo, e tra un attimo torno in libreria e ritrovo Agnes che parla con Ramon, e tutto torna nell'affresco, quel caro acuto e rassicurante affresco che sono sempre stati i suoi libri)

cit.
1. Da tempo abbiamo capito che non era più possibile rivoluzionare questo mondo, né riorganizzarlo, né fermare la sua sciagurata corsa in avanti. Non c'era che un modo possibile per resistere: non prenderlo sul serio.
2. Io quando sono rimasta incinta mi vedevo come una parte di quest'albero, appesa a uno dei suoi cordoni, e vedevo te, non ancora nato, ondeggiare nel vuoto, attaccato al cordone uscito dal mio corpo, e da quel momento ho desiderato un assassino che, giù in basso, sgozza la donna senza ombelico...non è il compimento della storia umana che ho sognato, l'abolizione del futuro, no, no, quello che ho desiderato è la totale scomparsa degli uomini con il loro futuro e il loro passato, con il loro inizio e la loro fine, con l'intera durata della loro esisitenza, con l'intera loro memoria, con Nerone e Napoleone, con Buddah e Gesù, ho desierato l'annientamento totale dell'albero radicato nel piccolo ventre senza ombelico di una prima stupida donna che non sapeva quel che faceva e quali orrori ci sarebbe costato un miserabile coito ch di sicuro non le aveva procurato il minimo godimento...
3. la parte su stalin e shopenhauer, bellissimissima.

martedì 3 dicembre 2013

La famiglia che s'innamora

Vengo da una famiglia che s'innamora. Che s'innamora delle cose, delle persone, delle cose in cui mette cura. Prima il papà l'ha confessato, Ho comprato dieci radio rovinate per ripararle e rivenderle, ma man mano che le aggiusto me ne innamoro.
Ed era così strana quella parola nella sua bocca. Mi sembrava mia, una mia parola nella bocca del papà. Un'ammissione inaspettata, un sentimento scivolato fuori per sbaglio, senza un ragionamento dietro, senza una razionalizzazione. Come un sassolino che rotola fuori.

lunedì 2 dicembre 2013

Laboratorio verso la fine.

Questa settimana finisco i laboratori, questa seconda parte è andata meglio della prima, li ho fatti lavorare di più e discutere di più.
La griglia con le parole è stata un successo, mi pareva di osservare moltissimo interesse, mi pareva di osservare che la questione fosse quasi personale. Sì, personale. Nelle classi multietniche lo è stata per davvero. Ho presente alcune situazioni che mi hanno richiesto fermezza.
In primis un ragazzo senegalese che all'inizio del lavoro sui termini si è impuntato dicendo di sentirsi insultato. In un'altra classe invece, un ragazzino tunisino era imbarazzato. Mi è parso di intuire che entrambi non si sentissero a proprio agio nella parola nero, e questo mi è dispiaciuto, è indice che devono fare ancora un lavoro grande per accettare la loro identità, è indice anche, forse, che una sorta di discriminazione forse la sentono addosso.
Il lavoro è proseguito bene e si è dilungato nelle ore successive. Mi premeva non lasciare la lista delle parole a metà.
Penso di aver visto l'ultilità del lavoro oggi, non so ancora spiegare in che modo, ma mi è sembrato di percepire una sorta di rassicurazione nel bollare le parole giuste da quelle portatrici di pregiudizi, dal vedere significato con significato cos'è un profugo, un rifugiato, un esule, l'espulsione e il respingimento. Oggi è stato bello, oggi ho fatto un buon lavoro.
 (nonostante la febbre, o forse è grazie a quella che son così clemente??)

giovedì 21 novembre 2013

nè?!

Mi piace il nè, o forse neh, detto alla fine di una frase. Mi sembra un timbro. Qualcosa che è una domanda e una risposta. è furbetto come un'occhiolino, è spontaneo, tradisce luoghi, origini.

mercoledì 20 novembre 2013

appunti laboratorio, terzo giorno quarta classe.

oggi è andata bene, proprio bene, ormai forse anch'io mi destreggio meglio a forza di ripetere le stesse cose, o forse i ragazzi stamatina erano brillanti; ma oggi ha funzionato.
Ha funzionato anche dal punto di vista umano, c'era una sorta di simpatia reciproca, mi pareva ci fosse interesse, collaborazione.
è stato piacevole e meno faticoso.
poi è uscito il sole, e quindi anche se adesso mi aspetta una giornata lunghissima, non so, sto abbastanza bene.

martedì 19 novembre 2013

Appunti Laboratorio, terza classe, secondo giorno.

Ho appena scoperto che due ore il pomeriggio durano più di due ore la mattina.
Pomeriggio bene, ho idea di aver impostato le cose in un modo tale che per me è faticosissimo, e per i ragazzi è leggero. O forse io sono vecchia e zavorrosa, e loro a metà se ne fregano, a metà recepiscono senza doverci mettere il pensiero.
Nel compenso bene, anche se appena esco dalla classe passate le due ore sento la stessa sensazione che si sente appena finito un esame scritto. Andato bene, ma qualcosa in sospeso, stanchezza nella testa e anche nel corpo. E la sensazione che a disteppo della fatica non sia andata proprio così bene.
Forse sono troppi, forse parlano troppo, e si parlano sopra.
ma questa classe è stata molto sveglia, addirittura in modo del tutto spontaneo ha tirato fuori il criterio dell'utilità (che non c'è - e che portebbe essere uno dei criteri da modificare per avere giornali sensati).

Appunti Laboratorio notizie, seconda giornata

Questa seconda classe incontrata stamattina mi ha creato difficoltà.
estremamente distratti fin dall'inizio, poco interessati, poco coinvolti.
molto chiacchieroni fin quasi a sovrastare ogni altra voe, mia o loro.
più impreparati e meno brillanti della classe di ieri.
non siamo arrivati a fare tutti i giochi preparati, ma l'insegnante che li seguiva (molto paziente, disponibile, interessata) li porterà a riprendere gli argomenti e completare la giornata.
Nel complesso non sono soddisfatta, forse per questa seconda classe le richieste erano più alte del livello della classe (e giù di ripetizioni).
a ogni modo ho l'impressione che i criteri di notiziabilità siano capiti, e anche i tipi di giornale, e forse anche che la notizia è selezione. è già molto.
Oggi pomeriggio ho l'ultimo laboratorio del giorno, al solito: timore e noia.
mi spiace riproporre a tutte le classi la stessa cosa, mi pare che il mio stesso coinvolgimento ne risenta. Allo stesso tempo preparare i materiali mi è costata fatica, e anche provare a strutturare questa prima parte, quindi farne un unicum sarebbe probabilmente uno spreco, soprattutto considerato chi ne fruisce.
Forse più che come happening devo sentire il laboratorio come uno strumento.

lunedì 18 novembre 2013

Diario del progetto sulla lettura delle notizie nelle classi terze - primo incontro

Oggi primo incontro di due ore.
ho sudato, e faticato, come quando scrivo, come quando sono dentro un libro.
i ragazzi mi sembravano per lo più facilmente distraibili, ma ammetto che in un paio di momenti ho avuto la loro completa attenzione.
mi pare che gli piacciano gli schemi, le cose chiare.
mi pare che non piaccia loro pensare.
forse due ore senza pause sono troppe, soprattutto nella seconda parte era percepibile un calo di attenzione.

il laboratorio è strutturato in quattro giochi, due brevi e due più impegnativi, alternati.
Lo scopo di queste prime lezioni è:

- capire che fatto e notizia sono cose diverse, e che la notizia è selezione fatta da una persona competente, il giornalista
- avere dimestichezza con i criteri di notiziabilità
- capire come funziona (semplificato!) la costruzione del giornale, che tipi di giornali ci sono e quali sono le sezioni all'interno di un giornale.

- capire di conseguenza qual è il compito dell'informazione e quali sono le sue manchevolezze nell'affrontare questo compito così gravoso (secondo me, scopo del giornalismo è essere strumento che permetta al cittadino di orienztarsi nella società odierna)

quest'ultimo punto non siamo riusciti ad affrontarlo davvero, ho lasciato loro il compito di immaginare, secondo il proprio gusto e le proprie esigenze, un'ulteriore sezione del giornale, a piacere.

giovedì 14 novembre 2013

A volte mi par di dover timbrare cartellini anche lì dove non ci sono marcatempo, nelle relazioni.

domenica 3 novembre 2013

mamma IMperfetta

Ho seguito la prima stagione di una mamma imperfetta e sto seguendo anche questa seconda stagione. Non mi piace, ma c'è di più, mi scatena riflessioni, rabbie, pensieri. Rende evidenti gli errori del perbenismo, sottolinea le fallacie dei benpensanti. Forse è per quello che ogni giorno la guardo, forse anche che dura dieci minuti a puntata.

Non sto a descrivere cos'è e come funziona, semplicemente è una serie televisiva diretta da Ivan Cotroneo composta da 25 episodi di 8 minuti ciascuno. Le puntate sono pubblicate su corriere.it una volta al giorno dal lunedì al venerdi a partire da lunedì 6 maggio 2013.
Qui qualche informazione in più sui sentimenti scatenanti, sulla condivisione della mediocrità sui buoni sentimenti contemporanei alla base del progetto.

http://www.corriere.it/13_ottobre_14/mamma-imperfetta-regalo-mia-vita-125df81e-349c-11e3-b0aa-c50e06d40e68.shtml


La serie è piacevole, ben costruita, i mini episodi sono tematici e centrati su tematiche molto aderenti al contemporaneo:
  • la fatica di essere famiglia oggi
  • le donne che lavorano e hanno poco tempo per dedicarsi ai figli, con sensi di colpa e dinamiche discutibili che s'istaurano coi figli stessi
  • la figura maschile meno presente, l'omosessualità, il confronto con gli altri genitori, le classi multietniche, le coppie di genitori omosessuali, la perdita del lavoro e in generale il ruolo del lavoro per la donna (sia che riceva promozioni sia che venga licenziata per la crisi)
  • la coppia, la vita di coppia, l'abitudine e l'amore nella coppia.
Le protagoniste sono simpatiche (e le attrici piacevoli, brave, spontanee), ben diverse tra loro anche se forse un po' piatte, c'è quella programmatrice e molto precisa, quella un po' anaffettiva ed egiostella, quella persa tra le nuvole e la protagonista, la più perfetta tra le imperfette.
Mi diverto spesso a leggere i commenti di chi la guarda, sono generalmente schierati da due versanti:
chi sostiene che ci voleva una serie così, che dipingesse il mondo reale e la smettesse di chiedere alla donna una perfezione che umanamente non può essere raggiungibile
-
chi sostiene che si tratta di un inno alla mediocrità, un giustificare e nobilitare a virtù l'errore e l'incuria genitoriale.



Verso entrambi i tipi di commento provo fastidio, mi sembrano superficiali e mi sembrano del tutto miopi nel non cogliere il vero male di questa serie:
il presentarci una mediocrità e un'imperfezione migliori di quelli che si trovano nella vità vera.
Abbastanza vicini a chi guarda perchè ci si possa riconoscere ma irrimediabilmente più bravi, più innamorati, più borghesi, più colti.
Secondo me rischia di dire "essere imperfetti è normale in questa società dove le cose non vanno, guarda qui", ma le parole traggono in inganno, e quello che vediamo sono problemi che si risolvono, matrimoni in cui l'amore è ancora presente, figli sani, imperfezioni che prima di essere chiamate tali erano la normalità (di certo imperfetta) ma non erano innalzate a "giusto".



Ci immedesimiamo nelle protagoniste, ci sentiamo così e giustifichiamo il nostro non riuscire a stare in tutto, allo stesso tempo però non siamo come loro, nascondiamo demoni che le protagoniste non hanno. Se l'imperfezione sta nella maglietta non stirata e in una voce superiore che dice: va bene anche se qualche volta la maglietta non è stirata – la contemporaneità subisce un appiattimento brutale a una classe borghese essenzialmente di sinistra che non tiene conto delle reali difficoltà economico-emotive di una società più sfaccettata e di certo più imperfetta che sembra non avere gli strumenti per leggere lo scarto e dirsi: è solo una fiction, ma che si finisce col riconoscersi senza criticità in un modello che taglia fuori una fetta ampia di noi: chi non vuole avere figli, chi è più povero, chi ha figli disabili, chi non ha i soldi per una tata ucraina, chi col marito non ci parla nemmeno...

dimenticavo, in questa seconda serie c'è una pubblicità all'apertura di ogni puntata, sponsorizzata da kinder cereali mi pare, in cui persone comuni si riprendono mentre confessano una loro imperfezione (sono X, ho X anni, la mia imperfezione è che leggo molto e perdo la fermata dell'autobus... sono z, ho z anni, la mia imperfezione è che lavoro troppo, sono Y, ho Y anni, la mia imperfezione è che non vado mai a trovare l aia amica friulana...) gesù, fan venire mal di pancia queste ammissioni così innocue! 
eccole: http://video.corriere.it/unamammaimperfetta/kindercereali/

lunedì 28 ottobre 2013

reed, maki, piogge e ouzo

a me lou reed ricorda due persone che l'hanno molto amato, due amici che non vedo mai ma a cui voglio molto bene.
uno di questi è Makis, e non lo vedo proprio mai mai, e nemmeno lo sento. con lui ho fatto un viaggio in pullman con una compagnia di teatro, in una grecia ancora tranquilla. nell'autobus le donnone cantavano muovendo le spalle con quel ritmo lorosolamenteloro, Maki mi raccontava i luoghi, mi parlava della compagnia. gli sono sempre grata di quel viaggio. arrivati alla locanda abbiamo fatto una passeggiata nella notte e ci ha scoperti nel bosco un temporale, e abbiamo corso per rientrare. e nella sala tutti ci guardavano turbati e sospettosi, e noi puliti, a testa alta per la nostra amicizia mai inquinata, in ritado, abbiamo mangiato e bevuto ouzo, fumato davanti al camino, rimasti nel salone caldo e umido finché tutti se ne sono andati a dormire; poi anche noi, abbiamo dormito insieme. ero stanca stanca, maki mi ha letto una storia, in un greco di cui non capivo nulla. la voce bassa e profonda ancora nella testa.
poi una sera al centro dove lavoravamo mi ha fatto conoscere questa canzone di reed, una delle poche sue che conosco, una delle poche che lego a un momento, a una storia, a una persona.


giovedì 10 ottobre 2013

il grande male - appunti sulle sconfitte

il grande male lo si chiama, forse. è come un prurito da grattare. qualcosa che metodico arriva in testa e non è soddisfatto finchè non si perpetua. e una volta compiuto lascia feriti.
il grande male si mischia con la vita, attecchisce come un'abitudine, una dolorosa dipendenza.
il grande male ha a che fare con la propria storia, per questo non si elimina con facilità, bisogna scendere in basso, a fondo. ammettere-ammettersi.
il grande male è intimo, inspiegabilmente intimo, non si può far capire a chi non l'ha, perchè il grande male non è star male.
è fortunato, colui al quale si presenta il momento in cui deve decidere.
lo immagino: lì, immobile, davanti le due strade, il volere-il sentire, e il dovere-"il giusto".
lì in mezzo sta l'uomo.
bene, stasera penso sia fortunato, anche solo perchè almeno momentaneamente sa cosa vuole.

mercoledì 9 ottobre 2013

per un anno abbandono la classe '82 e mi rifugio nella classe '83, anche se qualcosa dev'esserci nell'esser nati nell'anno dei mondiali.

venerdì 27 settembre 2013

Barilla

Tanto per inimicarmi del tutto la sinistra buonista devo dire che mi pare discutibile la gogna alla quale è stato messo il Barilla.
Se non gli va di rappresentare l'immagine della famiglia omosessuale a me pare lecito. C'è già tutta la tv che si adopera per inserire l'omosessualità in ogni fiction. E, a dirla tutta, inserisce sempre un'immagine stereotipata e asessuata dell'omosessualità: brave persone che si amano e che per sbaglio hanno lo stesso sesso, ma sono normali, non è colpa loro, non fanno male, non rubano, non uccidono, sono pulite.
Immagini che di per sé sono fastidiose, e che si ostinano a non voler accettare le persone come sono, con moti d'animo, con rabbie e gioie e con il "corpo".
E adesso l'accanimento per la mancanza dei genitori omosessuali che servono un piatto di pasta al bambino mi pare proprio il frutto di una frustrazione poco comprensibile.
L'immagine proposta da Barilla è l'immagine di nessuno, non è la verità, la gente non ha le posate lucidate a specchio e non ci mette mai quella foglia di basilico fresco sopra il pomodoro!, e le mamme non sono belle bionde magre e sorridenti con la pettinatura mai scomposta, e le famiglie a volte sono solo un papà e una bambina, a volte sono un papà una bambina e una matrigna a cui la pasta al pomodoro non piace.
Insomma, Barilla secondo me può scegliere l'immagine che vuole, e può anche pensarla come vuole, e non deve per forza essere punito perché non è pro-omosessualità, che poi non ha detto omosessualibrutticattivipuzzoni, ha solo detto: non è il tipo di famiglia che voglio rappresentare. E non se l'è inventato la mattina di dirlo, gli è stato chiesto e lui ha risposto.
E anche se probabilmente ci sono cento motivi per boicottare la Barilla, e anche se probabilmente il signor Barilla è una brutta persona, non mi pare così lecito scagliarsi contro un uomo che ha detto la sua opinione.
I motivi del boicottaggio e dell'accanimento secondo me devono essere altri e devono essere provati: sfruttamento dei dipendenti, attuazione di discriminazioni nel personale a seconda degli orientamenti sessuali... e così via.




giovedì 26 settembre 2013

Un'occasione persa.



È inutile, sono arrabbiata con gli omosessuali tutti.
Sono arrabbiata perchè guardano al loro orticello e non alzano neanche un po' lo sguardo.
Sono arrabbiata perché chiedono all'unisono il matrimonio come se il matrimonio fosse la soluzione di tutti i mali, il diritto immancabile – massù, per carità!, il matrimonio è un contratto, becero, economico, cieco, perfettibilissimo.
Mi pare evidente che il matrimonio non funziona, che non regge, che è una presa in giro – ma i gay, anziché guardare lucidamente alla situazione e chiedere di più, e chiedere più apertura e flessibilità, anziché mutare il matrimonio in qualcosa di più, che possa funzionare... lottano per potersi sposare.
Il loro orticello, l'abito bianco, lottare con le unghie per essere piccoli come gli altri al posto che aprire gli occhi agli altri e lottare insieme per qualcosa di più, che abbia qualche chance, che cambi le cose per davvero.
Mi fa una tristezza infinita vedere tutte queste energie sprecate per esser come tutti quando questi tutti annegano nel loro brodo giorno dopo giorno, mi sembra una questione di una miopia pazzesca intestardirsi sulle briciole ammuffite anziché provare a fare un pane diverso.
Un'occasione sprecata. Un'occasione persa.

sabato 10 agosto 2013

la scelta democratica

Un giorno in Kurdistan abbiamo fatto un pic nic. Il giorno è trascorso tra emozioni e cibi, e balli sulla musica a tutto volume proveniente dalla macchina parcheggiata vicino al fiume. È il giorno in cui sono caduta da cavallo. Verso sera abbiamo deciso che era ora di tornare. Alcuni volevano tornare da una strada più breve ma piuttosto faticosa, altri invece da un sentiero lungo e placido con vista sul tramonto e sui monti dell'Anatolia. E qui è la questione. Per me ci si poteva dividere e ognuno poteva fare la strada che voleva. Il gruppo invece vedeva la divisione come un fallimento, e così si è fatta una votazione. Ha vinto un gruppo e tutti sono sottostati al volere della maggioranza. La maggioranza voleva quello che anch'io volevo, quindi m'è andata bene, ma nel caso contrario avrei avuto delle rimostranze. E le avrei tutt'oggi. Perché mai, se ci si può scomporre in due gruppi ognuno dei quali soddisfatto, bisogna procedere tutti in una stessa direzione non condivisa?
Se la maggioranza avesse voluto fare la strada breve e impervia io mi sarei opposta, perché quel gruppo secondo me non doveva necessariamente stare insieme fino alla fine, perché non mi riconoscevo in quel gruppo e nei suoi ideali di condivisione totale, e soprattutto perché non potevo capire dove stava il fallimento se ognuno faceva quello che voleva senza nuocere agli altri.

domenica 14 luglio 2013

Petizione da firmare

Ecco, io non credo tanto nelle petizioni on line, ma credo tanto ne L'Europeo, al quale sono legata legata legata, che ogni tanto leggo e mi fa viaggiare e capire. Ho iniziato a leggerlo nel 2009, e da allora non so, a volte m'è parsa l'unica testata che aveva senso leggere; non banale, ben scritta, sempre. E se adesso chiude mi cadono le palle e le speranze... firmate dài, firmate!

http://www.leuropeo.com/petizione/

giovedì 11 luglio 2013

Le poesie dette in piedi sulla sedia ai matrimoni

Quando ero piccola e qualcuno si sposava io dovevo dire le poesie in piedi sulla sedia. Ero sempre in difficoltà, mi facevano salire in piedi quando ancora la gente parlava e il chiacchiericcio degli invitati gioiosi, dall'alto della sedia, mi sembrava una città brulicante, qualcosa che stava al di sotto, come fosse un po' ottuso. Poi, col coltello, la nonna (l'artefice vera delle poesie al matrimonio) batteva sul bicchiere, e richiamava al silenzio la sala intera. Tutti si voltavano verso di me, io di sicuro arrossivo e diventavo tutta una fossetta tra la tensione la vergogna la paura di non ricordare. La nonna mi diceva Dài, e io partivo, qualcuno in fondo alla sala diceva: Voce, e io peperone ripartivo, recitavo la poesiola il più in fretta possibile, mi beccavo l'applauso senza tanti inchini e già scendendo dalla sedia. Fatto anche stavolta, pensavo cercando di sparire, di mimetizzarmi, di evaporare, di diventare trasparente. Di sicuro qualcuno mi passava una mano sulle trecce strette alla testa, qualche zia mi faceva l'occhiolino e mi diceva Brava. Ho sempre invidiato i bambini che non dovevano dire le poesie ai matrimoni. Mi allenavano per farlo, la nonna era la mia personal trainer, tante volte la ripetevamo insieme, e quando non la ripetevo io la diceva lei ad alta voce, impastando una crostata, o un verso ogni mano di carte. Non era sempre la stessa poesia, c'era un volumetto in casa, di sicuro si intitolava Le poesie del matrimonio o Poesie per matrimonio, a seconda degli sposi ne sceglievamo un paio, non troppo lunghe, non troppo corte, per lo più con cenni religiosi, e il primo passo era copiarla su un bel foglio. E poi via, ripeterla ripeterla ripeterla, io e la nonna in campagna, io e la nonna in cucina, davanti al nonno, sul terrazzo a fare il bagno nella vaschetta. Anche quando la nonna poi al matrimonio non c'era mi faceva impararle, e poi provavo a convincer la mamma a lasciarmi non dirla, perché nessuno la diceva, ma la mamma non cedeva, Ormai l'hai imparata, Cosa ti costa, Agli sposi fa piacere; Pensa che regalo... e così via, finché mi rassegnavo e facevo il mio dovere, è andata a avanti tanto la storia delle poesie, finché non ero grandicella o non so, forse poi nessuno s'è più sposato.
La poesia ai matrimoni, in piedi su una sedia, era paurosa, era qualcosa che mi buttava nel pubblico, che mi puntava un riflettore addosso. Io, che giocavo sempre da sola o a carte con gli adulti, che non osavo mostrare i piedi a nessuno, che piuttosto che mettere un vestito barattavo ogni gioco e ogni libertà, che fin da piccola ho imparato a non esserci, a non disturbare. Però quando le imparavamo era bello, l'aria sapeva di sapone e di sole, e tendevamo le lenzuola prima di piegarle, un verso ogni piega, Tira!, e io tiravo più forte che potevo e speravo cedesse, speravo che una piccola crepetta si facesse buco, e un altro verso e un'altra piega, Tira!, e le mollette del colore dei capi stesi, e la nonna che aveva una memoria pazzesca, che sapeva tutte le filastrocche del mondo e nomi dei fiori, e cento giochi alle carte, e che le tabelline erano il suo pane, e i calcoli li prendeva e se li girava e rigirava nella testa, e veloce rispondeva e cambiava e giocava coi suoni, ma questa è un'altra storia.

mercoledì 3 luglio 2013

appunti su Mutterseele

Lavoro a un libro bello in questo periodo (spesso, ma questo di più). Ne sto facendo la seconda rilettura e me lo sto godendo, pulite le cose più grandi questa è la parte che preferisco, perché il libro lo conosco già e ci ho già messo le mani, e qui, a questo punto:
ancora non mi ha stufata + posso cogliere meglio alcune cose appena intraviste + posso scoprire nuove cose + posso fare un bagno nella lingua, ché ormai sento come parlano le persone (in questo caso la, una donna).
E questo libro, in questa seconda lettura, mi sembra un testamento. Alla prima lettura mi sembrava un monologo interiore, ora mi sembra di coglierne i grandi temi, le somme, se così si può dire.
Un lascito. Un lascito spigoloso e realista, disincantato e tremendamente d'avanguardia perché fuori tempo.


L’ho vista subito, la prima ruga, è comparsa di colpo, da un giorno all’altro, e non ho fatto neanche in tempo ad abituarmici che ne è comparsa un’altra, e poi le successive mi hanno scavato il viso sempre più in profondità, e le ciglia hanno cominciato a cadermi, e gli occhi a impallidire, e il bianco dell’occhio si è fatto giallo, e sul petto sono spuntati dei peli e sopra il labbro superiore dei baffetti, al punto che non sapevo più se ero un uomo o una donna.
Una volta comunque si invecchiava prima rispetto a oggi, a trent’anni la vita era praticamente finita. E nessuno ti guardava più come donna. E quando non si ha più nessuno per cui essere bella si perde la voglia di esserlo anche per se stessi, o di essere grassi o magri, e quando arrivano le rughe prima si assiste al loro espandersi sul viso, da principio sottili sottili come una ragnatela delicata, e poi al loro incidere la pelle più in profondità, sempre più in profondità, e d’un tratto ci si vede come un fossile e ci si spaventa a guardarsi allo specchio, ma non si cede, perché si vuole ancora qualcosa in cambio di tutto il lavoro fatto, e si vorrebbe stare a guardare il più a lungo possibile i risultati di quello che si è stati in grado di fare e di produrre. Quando si è giovani ci si chiede perché i vecchi rimangano così attaccati alla loro misera vita, e si pensa che prima o poi debba arrivare il giorno in cui se ne ha abbastanza e non si ha più voglia di andare avanti, sì, proprio così, perché si è avuto tutto dalla vita oppure perché si è abbastanza saggi da sapere che quello che si è tanto desiderato non arriverà più; eppure si impara a farsene una ragione, anzi si impara a farsi una ragione di tutto, e a sorprendersi che la notte la schiena faccia più male del dolore per il figlio morto.

giovedì 27 giugno 2013

random

Sono sempre più convinta che le Fruitjoy random siano le più buone caramelle gommose confezionate oggi facilmente reperibili in Italia. Ho già polemizzato sul curioso monopolio haribo, sul fatto che nei supermercati ci siano soprattutto caramelle gommose haribo e sempre degli stessi cinque tipi (o poco più a seconda dei supermercati) rispetto alla quantità di proposte presenti nei supermercati esteri. Ma queste fruit joy sono una sorpresa, costano un po' di più, il pacchetto è da 195 g (???) si chiamano random perché la forma e il sapore sono “causali”. Le forme disponibili sono più di ottanta, non tutte sono bellissime. Alcune caramelle sono ripiene (come le fruity bussi per capirci), altre sono tipo goldenbear ma più morbide, altre sono opache, come i maialini gelco, ma anche queste sono estremamente morbide, al contrario dei maialini, che anche appena aperto il pacchetto sono sempre un po' duretti (e basta col dar la colpa al freddo, al fatto che forse sono vecchie, alle coincidenze astrali, i maialini sono sempre più duretti di come li si vorrebbe!).
Di tutte il sapore è ben definito e fresco, soprattutto tutte sono morbidissime, morbidissime. Sul packaging c'è ogni volta una vignetta diversa, forse proposta dai consumatori, che ha per protagoniste le caramelle stesse.

Voto: 8!

martedì 25 giugno 2013

teatro

Oggi, proprio adesso, stamattina, faccio per studiare l'informatica e tutto mi butta nel teatro.
che voglia di andare a teatro, così, subito. Che voglia di sentire le voci carezzarmi nascoste e raggiungermi nel buio della sedia. che desiderio di cogliere i muscoli tesi sotto i movimenti, e le idee sotto la trama.
così, d'improvviso mi sconvolge questa voglia e mi fa tremare la pancia, che le braci ormai spente provino a farsi fuoco un'ultima volta.

lunedì 10 giugno 2013

Guerra e pace


I concerti a teatro mi piacciono, come l'opera.
L'intimità di una musica a portata di mano avvolge sempre, ingloba, ipnotizza; a volte al di là del suo valore reale.
Sono stata a vedere gli Apparat all'Auditorium di Milano. Lo spazio interno è bello, piuttosto ampio, richiama un cinema, probabilmente su due piani, noi eravamo in platea, le seggiole erano comode e ampie, l'acustica molto buona.
Nel buio la musica si è fatta fin da subito potente, penetrante, avvolgente, molto densa.
I musicisti sono scomparsi, non illuminati nonostante il loro suonare. Non vederli disorienta. Sembrano addirittura abbassarsi quando qualche fascio di luce li raggiunge, sembrano insetti.
Lo sfondo è rosso, poi nero, come sabbioso, granulare. Solo dopo capisco che il video è realizzato in diretta da un paio di persone sul palco (che si mischiano ai suonatori nascosti).



La musica si fa sempre più protagonista, e di colpo immagino un'esperienza simile ma individuale. come se fossi sono io, al centro  godere di sta cosa, anche con degli occhialini, non so, più virtuale. E me lo chiedo perché mi pare che poco importi se ci sono o no, non c'è incontro tra musicista e ascoltatore. Il musicista scompare e lo spettatore è in mezzo agli altri spettatori, senza fare senza dare, nessun movimento. Che ci sia io o xy non cambia nulla. E allora perché proporre il concerto a teatro se lo spettatore non conta?



Lo sfondo rosso porpora scende dall'alto come una superficie lunare gibbosa, attritica.
Capisco cosa non va, è lo schermo, è troppo rettangolare, troppo piccolo. Ha i confini, i limiti. la musica no. il video non sborda, non prosegue, si ferma nel video, è solo un video. sono solo due dimensioni e io le vedo tutte, e non basta. la musica va oltre, entra dentro, il video è solo lì: una larghezza un'altezza, un perimetro.



Il concerto è bello, lo sono le parti cantate lo sono le parti suonate. Forse pretenzioso proporre pezzi così lunghi da seguire stando seduti, con un video minimale. Forse pretenzioso credersi tanto potenti da nascondersi. La gente esce, rientra, ha tacchi alti e capelli alti e pantaloni a vita alta. Ha simmetria, i milanesi sono simmetrici, nei tagli, nei colori, nelle cortezze (voluto). Loro suonano nonostante il comprensibile viavai.




Poi finisce, il gruppo esce, poi rientra, dona un altro paio di bellissime canzoni. poi riesce.
mi rimetto le scarpe, grata di non essere sola nella metropoli.

giovedì 9 maggio 2013

sogno

cavalco senza mani, cavalco leggiadra, sicura, temeraria, le braccia al cielo, le gambe strette sul corpo saldo e ritmico. lo vedo che ci avviciniamo al precipizio, lo vedo eppure non tocco le briglie.
poi vedo lo zoccolo che pesta nel vuoto. chiudo gli occhi. è chiaro che doveva esser così, mi dico.
quando mi sveglio ho poche ferite, cerotti e persone addosso. di colpo mi chiedo del cavallo.
lo cerco sulla spiaggia che costeggiava il muretto che sorreggeva la strada da cu siam caduti; cerco il cavallo e vorrei sapere se è anche lui vivo o se è morto, voglio vedere se il padrone l'ha finito perché soffriva o se sta bene, soprattutto voglio chiedergli scusa, ché con la mia leggerezza l'ho messo in pericolo, ché senza rendermene conto ho giocato anche con la sua vita.

venerdì 3 maggio 2013

e non si è più soli

certo momenti, come adesso, so per certo che il mio è il lavoro più bello.
fuori dalla finestra scende il sole, il balcone è aperto e l'aria della sera entra, delicata.
dall'altra parte d'europa la traduttrice controlla la mia revisione, mi manda dieci pagine alla volta, io guardo che pensa dei miei interventi, sommo me a lei, le mie parole all sue parole e ne esce qualcosa di bello. ne esce una scelta, una presa di posizione sul mondo, una direzione nitida, la piega che ha da prendere il testo.
e in questo caso il testo è azzardato, audace. è un testo che graffia e scalpella, ma è un testo ben rigoroso nelle sue linee tozze, nel suo definire una storia, un rapporto, uno stare.

e non si è più soli

domenica 28 aprile 2013

Blu Valentine

Dialogo tra nonna e nipote. Film strano, distante, eppure familiare.

- Come ti sei sentita quando ti sei innamorata?
- Oh cara, non credo di aver mai trovato l'amore.
- Neanche con il nonno?
- Forse un po', all'inizio. Non è che lui avesse dei riguardi nei miei confronti, come persona. Devi stare attenta. Devi stare attenta con la persona di cui t'innamori...
- Come ci si può fidare di quello che si sente, se poi quello che si sente svanisce così facilmente?
- Credo che l'unico modo per scoprirlo sia provare dei sentimenti, crederci.

venerdì 19 aprile 2013

Appunti sul pastore (testo di fretta, e provvisorio, per non dimenticarmi)

Il pastore da tre giorni bazzica con tante pecore sulla ciclabile. In questi tre giorni l'ho incontrato quattro volte, se io o lui parlassimo come le persone normali ormai saremo amici, l'ho già visto volte più di tanti amici, a dir la verità. Ma non abbiamo parlato per davvero.
Il pastore ha un cappello verde, che ha la forma di quelli che si fanno in un zic con la carta di giornale. Ha un cane che si chiama Stich (magari si scrive diversamente, ma quasi di sicuro non si scrive) che sembra un misto tra un pastore del caucaso, austriaco e olandese (giuro ho perso almeno una quindicina di muniti per cercare), e ha il pelo come rovinato, come una pecora brizzolata mal tosata eppure dignitosissima. E infine ha una pupilla slabbrata, spupillata, gocciolante; è insieme bella e brutta, sembra proprio che il puntino nero della pupilla abbia lasciato cadere da sé una gocciolina, gli occhi sono gialli e verdi, più gialli.
Il pastore è giovane e parla sempre al telefono, ha un accento che non è un accento ma un modo di parlare leggermente diverso, come in svizzera nei cantoni che parlano italiano.
Ci siamo incontrati quattro volte, passo, mi fa un cenno. Passo gli accenno un sorriso.
Prime parole, l'atroieri:
corro, mi ferma per chiedere un'informazione, forse lo guardo tra lo stranito e lo scocciato (perché non ho la prestanza per essere davvero scocciata se qualcuno mi ferma mentre corro, sono così scarsa che mi fermo persin da sola, però a volte si prende il passo e...). Coglie di sicuro lo sguardo perché esordisce: “Sono un pastore, cerco delle sigarette”, e gli spiego dov'è il tabaccaio e il gelso, la strada... poi corro e penso che ha ben chiara la propria identità, che si presenta come il pastore. Come se dicessi: “sono una redattrice cerco il bagno”.
Seconde parole, stamattina:
Sono in bici, lo vedo che fuma e cammina, Stich al suo fianco, il cappello sulla testa, fa per farmi un cenno, rallento, mi fermo, lo guardo: “sono uscite”, e lui: “tante?” e io: “è un po', da un buco nella rete”, “grazie”.
E mi sono sentita un po' pastora, e al ritorno dal lavoro l'ho rivisto, sdraiato vicino al fiume, il cappello sul naso, il solito cenno. E nel frattempo il cane teneva le pecore sul prato a fianco della ciclabile, senza reti, solo Stich, e ho pensato che almeno certi giorni vorrei essere una pastora, anche solo per godermi la maestria con cui questi cani perimetrano le pecore colla loro sola presenza.

martedì 16 aprile 2013

Goliarda e io, gli inizi

Mi sarebbe piaciuto lavorare con Goliarda. Rivedere il suo testo già così limato, e limarlo nacora, insieme. C'immagino su un balcone, di lontano vediamo il mare, e il vento acre -così come lo chiama lei tante volte- ci raggiunge ogni sera. Rileggiamo ad alta voce, pagina dopo pagina. A volte alzo un sopracciglio e le dico -qui, qui non ti sembra d'aver esagerato? E lei: forse, ma per farsi capire bisogna rompere qualche vetro, e a volte gridare dentro le case abbandonate. E allora io le risponderei che è inutile che provi a convincermi così, con un'immagine creata a tavolino, e che la sua è una scrittura che s'insinua, e da dentro s'allarga, come certi proiettili speciali e che quindi è inutile che mi proponga di tirar pietre sulle finestre, che non è il mestiere suo. E ridiamo, leggiamo e ridiamo, perché a forza di starle a fianco mi viene quasi da chiamarla figghia, e mettere i verbi alla fine della frase, perchè la rileggo in Mody, o così mi piace pensare. E immagino che l'abbia scritto volendola proprio così Modesta, lavorando sodo per renderla così com'è, prendendo il presente e raccontandolo dal passato, scegliendo una donna intelligente, umana, anche cattiva a volte, all'inizio soprattutto, ma poi facendola diventare illuminata grazie all'intelligenza e alla cultura. Una principessa siciliana che vive il proprio corpo e gioca col proprio potere senza dimenticare gli ideali importanti, un giusto e  sbagliato mai dichiarati immobili, ma sempre presenti.
-Goliarda, mettiamo un appiglio per il lettore del nord!, che vuol dire scantasti? come lo può capire. -Sara, non è che tutti devono capire tutto, se qualcuno non sa chi è crispi non capisce un sacco di riferimenti, no?
-È sì, ma diverso è non conoscere, non sapere, dal non capire, tu me lo insegni Goliarda, “perché altro è capire altro è sapere”, guarda, me lo sono scritto sul polso da tanto che mi piaceva.

lunedì 15 aprile 2013

L'altro ieri ho visto Anna Karenina, con la regia di Joe Wright e sono quasi stata male.

L'altro ieri ho visto Anna Karenina, con la regia di Joe Wright e me ne sono amaramente pentita.
Anna karenina viene malamente trasformata in una sciacquetta in calore. La profondità psicologica e morale e sensuale del migliaio di pagine di Tolstoj dimenticate. La regia per fortuna la fa da padrona, perché il personaggio lasciato nelle mani della tutta denti e sguardi lussuriosetti Keira Knightley farebbe uscire dal cinema indignati dopo dieci minuti. Eppure questa regia che la fa da padrona è supponente, troppo barocca, e troppo Tim Burton.
Il film dura uno sproposito e non dice niente, niente del tormento che prova, niente della scissione che la strappa, niente della sofferenza inaudita che le fa scegliere Vronskij e rinunciare a Serëža.
In cambio ci fa apparire santo il marito e capricciosa lei, capricciosa e isterica senza motivo.
L'ho odiato questo film, l'ho odiato e mi sembra che il regista non abbia capito niente della storia. Lo sconsiglio vivamente a chiunque abbia letto il libro e a chi non lo ha letto consiglio di guardarlo come si guarderebbe uno di quei film minchia tipo ama me non leitra trenta giorni sei mio (titoli d'invenzione) ma fatti da un regista con la voglia di sperimentare.

giovedì 4 aprile 2013

giorni

giorni di pensieri, un po' confusi un po' no.
sempre più nitido vedo il confine tra chi scrive bene e chi scrive male, al di là del mio gusto, con una sorta di oggettività. non oso rileggere nessun mio testo. soprattutto non oso scrivere nessun testo.
e poi, chiuso Ota Pavel, meraviglioso. In grado di dire un mondo con quelle parole semplici. in grado di lasciare sullo sfondo la tragedia, che c'è ed è presente, ma non diventa mai protagonista.
ed è un dono, qualcosa di bellissimo, essere capaci di non esplicitare il male quando lo si ha tra le mani, sotto gli occhi, quando di sicuro fa male.
e poi son giorni di letture sul reportage, riflessioni sul viaggio, sul vero, sull'etica, sul dire.
e poi di nuovo un testo delicato tra le mani, di nuovo l'infanzia, come con il mio amato goma. anche se qui l'infanzia è più mite, la guerra non c'è (e i bambini non "si siedono"), c'è il moderno che avanza però, e un villaggio in dono, abitante dopo abitante.
perché l'infanzia, quando nei libririesce è qualcosa di pazzesco. di potente, di incredibile.
e poi il sole e la pioggia e lettere mal scritte e lettere non scritte e distanze.
e poi dovrei ridiscutere il mio rapporto col polo dell'inaccessibilità. ma adesso sono stanca.



giovedì 14 marzo 2013

Il tempo è un bastardo

Il tempo un bastardo è un romanzo che ha per protagonista il tempo, e le vite. Il trascorrere degli anni, gli intrecci e le spaccature. Bambini che crescono e giovani che invecchiano, e grattacieli che salgono o si consumano. È un romanzo bello, che non vuole, né prova, a dire tutto, che si concede di aprire parenesi graffe quadre e tonde, e chiudere parentesi e ogni tanto lasciarne qualcuna aperta. Eppure è bello, e becca tante cose, tanti stati d'animo, e momenti di ognuno, e a volte, soprattutto con persone secondarie, ha la capacità di inquadrare l'esistenza e narrarcela tutta da quell'istante alla fine. E quando il libro termina si ha la sensazione di non avere risposte, né fatti, ma qualcosa d'impalpabile che non si riesce a cogliere fino in fondo. Come il tempo appunto, come la vita.

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Oggi ho immaginato di passeggiare con A. già un po' più grande. Per la strada diceva o combinava qualcosa che incuriosiva un passante. Questo le diceva: “devi dire alla tua mamma che...”, io guardavo A le dicevo: “glielo dico io o glielo dici tu?”. Ed eravamo serene, divertite e complici nel dichiararci non madre non figlia.

martedì 12 marzo 2013

 Avevo iniziato, almeno nella mia testa, a polemizzare: per il papa e le fumate, per la femen lì sola soletta nella piazza convinta che il suo seno sia un amplificatore di buone intenzioni, per i marò che a dir la verità anche a me sembra sensato vengano processati nello stato in cui hanno commesso il crimine... ma di nessuna di queste cose sono informata quanto basta, e pigra pigra pigra non ho alcuna voglia di approfondire e biascicare l'ennesimo punto di vista impreciso sulle questioni del mondo.

Mi sdraio e cullo con Ota Pavel...

La mamma era una bellezza e di lei Lustig era un pochettino innamorato. Una volta era venuto a invitarla un bel signore alto e biondo e papà aveva fatto cenno che sì, la mamma poteva andare in pista con lui. E quel signore aveva cominciato a farle la corte e a metà del ballo le aveva detto:
«Lei è così bella» e non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
La mamma aveva sorriso, a quale donna non avrebbe fatto piacere. E poi quel bel signore aveva aggiunto:
«Ma sarei curioso di sapere cos’ha in comune con quell’ebreo».
«Tre figli» aveva detto la mamma, aveva finito il ballo e era tornata a sedersi accanto al papà.

martedì 5 marzo 2013

Due cose belle insieme non fanno per forza un'unica cosa bella...

A Berlino nei giorni scorsi c'era il sole, erano i primi giorni di sole e la gente ricolmava le strade, e sorrideva. Le giacche slacciate, le sciarpe e il berretto in borsa, passeggiate e primi caffè seduti sui tavolini all'esterno. Scarpe di pelo e pantacollant leopardati e maglia a righe rosse. Fuseaux in finta pelle strappati, calzini in spugna e ballerine... potrei continuare, del resto ognuno si veste come vuole, ma i tedeschi (e il turismo sul lago di Garda lo conferma ogni anno) non vincono il premio del buongusto. Ne parlavo con un amico, e lui mi faceva notare questa tendenza teutonica: che se due cose sono belle allora insieme saranno di certo ancora più belle – sottolineava che così però, si perde una visione d'insieme, la coreografia, la totalità. Io non me ne intendo di vestiti, quindi non sto a polemizzare sugli abbinamenti, ma di caramelle gommose un po' ne so, e nelle ultime scelte haribo ritrovo lo stesso principio...

nominato prodotto dell'anno 2013 (ma non si deve aspettare la fine dell'anno per capire qual è il prodotto dell'anno?!?).

La novità del prodotto è riprendere la forma delle liquirizie di polka - quelle con liquirizia intorno e zucchero colorato dentro – o il contrario e le mattonelle – ma proporle senza liquirizia, quindi creare un cilindro esternamente al sapore di pesca e internamente riempito di sapore di ciliegia, o una mattonella sandwich con estrenità sapor cocco (scelta che io aborro) e ripieno ciliegia o pesca.

Critiche:
  1. Il sapore di ciliegia insieme al sapore di pesca non sa di niente, è indefinito, spiacevole, dolciastro, nessuno dei due sapori prevale, essendo i due gusti di gomma dalla densità molto simile non c'è un effetto ritardato di un sapore sull'altro (come è con i ripieni), ma solo una somma – che qui è tra numeri negativi...
  2. Il cocco: almeno due terzi di pacchetto sono al cocco. Forse ne avanzavano grandi quantità in fabbrica, forse c'è stato un errore nell'assembramento, ma tutto 'sto cocco è spiacevolissimo. Nei normali pacchetti è appena tollerabile e subito s'identifica perchè ha una densità diversa, ha i pezzettini, non si capisce se è spugnoso o secco, non è amalgamato... ma addirittura due terzi del pacchetto è inaccettabile.
  3. Nel pacchetto, e qui vien proprio da chiedersi il perché, c'erano anche 3 coca cola, 2 ciliegie e due rane. Tutte le altre gommose non erano del tipo traslucido, ma fatte come le liquirizie senza liquirizia. Ma perchè??? ma che centra il fruity cocktail con la coca cola e le rane?

Deludenti – deludenti – deludenti. Voto: INCLASSIFICATO!

giovedì 28 febbraio 2013

Arriva Philip Glass stasera, e se quando piove ci sta, senza pioggia non è proprio un buon buon segno, perchè si porta dentro il dramma, la disperazione, qualcosa che fa tremare la pancia, che allaga (non allarga) lo sguardo.



lunedì 18 febbraio 2013

Il primo bacio.

Ieri, volontario, veloce, leggermente imbarazzato, spontaneo.
Ieri ho ricevuto il primo bacio, inaspettatamente, inavvertitamente. Ero sdraiata sul divano, studiavo. È successo velocemente, un saluto per preparare il pranzo, un saluto da una stanza all'altra. Un bacio adulto sulla guancia e a seguire puf, la piccola voce che dice (ordina) Anch'io, le porgo la guancia e smak, uno schiocco in piena regola, naso sporco sporco spalmato con gioia, labbrucole impercettibili a tubetto. Il primo bacio. E io immobile, leggermente a disagio, sorpresa. 
Ma dentro, segretamente fiera.

sabato 2 febbraio 2013

competizione

Sono in competizione con me stessa, e anche quando vinco perdo. Un parte di s vuole fare le cose, avere riconoscimenti, studiare e correre e lavorare e prendere treni e essere bella e brillante. L'altra parte vuole camminare e pensare, guardare film e ammazzarsi di serie, leggere e vedere quelle tre perone a cui vuole maledettamente bene e sentire i muscoli della pancia che si rilassano, e che la vita è un'altra cosa, e non una corsa contro il tempo per raggiungere obiettivi così esterni, e discutibili. E così quando una riesce l'altra si sente sconfitta. Quando l'obiettivo viene costosamente raggiunto la parte introspettiva lamenta di aver accantonato le cose davvero importanti, di aver spostato il baricentro nella società, e quando invece lascio spazio al dolore e al pensiero, la parte laboriosa punzecchia l'immobilità, l'incapacità di portare a termine le cose... - schizofrenica in una competizione autodistruttiva.

giovedì 31 gennaio 2013

Oggi ho dato l'esame, e l'ho passato bene.
Eppure non sono contenta. Eppure, oggi, il momento più bello del giorno è stato un attimo fa, a piedi sulla ciclabile, rientrando dalla stazione dei treni. Buio e freddo, solo qualche lampione giallo vicino all'acquedotto. E un vento pari a quello dell'est, freddissimo e pungente, sferzante, solitario. Musica nelle orecchie ho gridato cantando, ho pianto con il freddo, e per un momento non dovevo niente a nessuno, soprattutto non dovevo niente a me stessa.

martedì 8 gennaio 2013

Una carezza non richiesta

Un amore che non corrispondo mi rende cattiva: mi sembra che qualcuno m metta una mano addosso, e mi vien voglia di picchiarla, quella mano. Un odio improvviso. Mi trattengo. Una carezza non richiesta può risvegliare in me una terribile cattiveria. So che è abominevole, eppure non riesco a liberarmene. (Berberova, Il quaderno nero)

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