giovedì 24 marzo 2011

Pericolo

pericolosi sbalzi d'umore.
nessuna medicina possibile,
nemmeno, e soprattutto nemmeno le persone care.
pericolosi sbalzi d'umore, che partono dallo stomaco e provano a mandare all'aria progetti e relazioni,
sabotano i vicini, ammazzano qualunque speranza.
pericolosi sbalzi d'umore,
inamovibili, irrimediabili, insostenibili.
E ogni volta mi chiedo ad alta voce: ma perchè cazzo non spengo il telefono.
soprattutto per evitare di sparpagliare questo nero che dilaga.

martedì 22 marzo 2011

sacco lenzuolo, ovvero non so cucire

Cucisco, come Penelope, ma senza pretendenti e senza abilità, e anche senza attese.
Faccio un nido, mi pungo le dita con gli aghi, non vedo le misure,
i bordi oscillano da uno a cinque centimetri.
Piango e mi pungo.
Rido e mi pungo.
Non so se piangere o ridere.

Non so cucire. I tessuti duri a bucarsi, l'ago si sfila, la stoffa scivola, il filo s'ingarbuglia, i pantaloni s'impigliano, la maglietta s'impiglia, il divano s'impiglia. Tutto ormai parte dello stesso filo.
Come una catenina di oggetti imbastiti per sbaglio.
Tutto si unisce come in un collage, tutto punge e versa una lacrimuccia di sangue e la stoffa s'impregna.
E l'indice destro prega in un basta, invoca un ditale.
Uffa. Niente funziona e impreco silenziosa, tanto nessuno sente.

mercoledì 16 marzo 2011

lista disordinata, 16 marzo, il mondo si avvelena

- Arriva una mail da talent formazione, nell'oggetto: Con NOI è possibile lavorare in banca.
Elimino la mail senza aprirla chiaramente. Ma perchè mai dovrei voler lavorare in banca? Perchè mai si dà per scontato che una persona desideri dover vestirsi elegante, essere servile con tutti quanti e timbrare il cartellino? Ma porca miseria, forse perchè l'orario è comodo? Machissene frega!, sarà ben più entusiasmante lavorare senza orari a progetti etici e sensati che fanno crescere oltre che passare il tempo. Uffa. [il capitalismo ha trasformato in bisogno e illusione di soddisfazione la schiavitù.]
- Scappare dal mondo: Si tratta di una tragedia che si compie lenta e almeno da qui inesorabile, non si può fare niente. Forse pregare, ma le due cose mi sembrano equivalenti. Il veleno si espande, la gente si sposta, il veleno continua a uscire, la gente continua a spostarsi. (a pensarci mi viene in mente blob, ero piccola e dopo il tg vedevo questo magma nero che si espandeva senza smettere mai, e spostava le grate, penetrava nelle case - volevo a tutti i costi cambiare canale) Ma il mondo è quello che è, a volte non c’è via di fuga, e a volte non basta spegner la tv perchè le cose che ci fanno paura spariscano in fretta. Scappare dal mondo intero. Che idea strampalata. 
- Tragedia: scegliere tra due mali. Gli Dei compiono un’azione e l’eroe di conseguenza deve decidere come comportarsi, entrambe le scelte portano con sé il tragico, chiaramente.
- scrive Herta Mueller in un saggio: Le regioni interiori non coincidono con il linguaggio, esse ci trascinano la dove le parole non riescono a soffermarsi. Spesso sono le cose essenziali quelle su cui non si può dire più niente, e l’impulso di parlarne scorre bene perché va oltre senza fermarcisi. Solo in occidente si pensa di risolvere questo disordine parlandone.
- Mi sembra che qualcosa, mentre passavo, mi sia rimasto impigliato nel bottone della manica, e l'ho trascinato dietro di me senza volerlo, senza accorgermi. Si trattava del futuro di qualcun altro.

lunedì 14 marzo 2011

pellegrina

Ho visto il cielo posarsi nella valle. I tuoi occhi posarsi nei miei e con essi mischiare il colore.
E coralli di luci cittadine a far da stelle sotto i piedi. A far da mare immobile e città bombardata.
Ho percorso i centocinquanta gradini, senza fatica alcuna. Li ho contati  a fior di labbra.
Da un lato il cielo mare, dall'altro la notte intera, nascosta tra i colli. Nel dentro il desiderio.
Ho penetrato la zona protetta. Hai penetrato la zona protetta.
Mi sono infilata nella notte e tra le pieghe dell’Olimpo. Ti sei insinuato tra i denti color inverno.
Ho ricevuto un fuoco, un bacio, un sogno senza voce.

domenica 13 marzo 2011

I bought some sweet, sweet, sweet Sweet sunflowers

Siede alla finestra. Non è la solita finestra, e il cortile su cui si affaccia non è un cortile. Siede sul pavimento, la finestra è una parete finestra. Il cortile è una piscina che sembra un guscio di lumaca striato dai marmi rosso mattone, e vivo d’acqua fumante. Siede alla parete di vetro, sul legno caldo, e guarda giù. Vede padri e bambini, vede madri e bambini. Vede padri e madri e ognuno tiene una creatura. Ondeggiano camminano abbracciano, i genitori. Sgambettano fluttuano sperimentano, i bambini e le bambine. Siede alla finestra, al fianco le pettegole, le impiegate al semaforo finita la mattina di lavoro, le parrucchiere alle tre di pomeriggio con le vecchie imbalsamate a far la messa in piega. Mette la musica nelle orecchie, mette una canzone che le ricorda qualcosa, mette a tacere i commenti a ogni oscillazione dei corpicini, le dolci risate a ogni rapido sgambettio. E d’improvviso vede davvero. Vede una mamma che non riconosce il suo corpo e lo stringe nel costume, un’altra che guarda verso la grande finestra in alto per assicurarsi che il primogenito sia buono e fermo, un’altra ancora che affilata non stacca l’occhio dall’orologio; un papà che si diverte col piccolo pesciolino, un altro che crea un contatto col suo bambino. Vede un’insegnante che vuole rassicurare, vede un assistente che appoggiando gli asciugamani pensa alla serata del giorno precedente, quella che gli ha lasciato quei segni sotto gli occhi. Siede davanti al vetro, su un pavimento di legno, ha cancellato le pettegole e porge fogli e fazzoletti al primogenito pittore silenzioso che le è a fianco, è dentro ma è come se fosse fuori, è fuori ma vede tutto il dentro. C’è un lui che come la mamma coi due bambini getta occhiate alla finestra-balcone, lo stesso lui che cerca uno sguardo e lo trova quasi sempre, lui che sorride e zampetta, lui e tra le braccia un confettino, racchiusi nell’argenteo carapace. Alza lo sguardo, prende una manina, sorride, abbozza un ciao con la manina rubata. Il vetro scompare, un vento alla violetta allontana le giacche dimenticate, il primogenito non si accorge di nulla, lei soffia nel cortile l’immobilità, si tuffa veloce nell’argento, s’avvicina alla manina, ruba una carezza, s’avvicina al sorriso, vi abbandona un bacio appena; slaccia il costume della segnatempo, e risale alla guardiola. Tutto riprende, l’insegnante insegna, il costume cade, la manina scende, il sorriso rimane, il primogenito ha terminato la sua foresta di alberi variopinti, la canzone finisce.

martedì 1 marzo 2011

l’accento sulla gioia che provo, non sulla difesa della mia immagine. (parte 3: io, la più fortunata)

- Si tratta di un tocco delicato sulla tempia sinistra, prima di parlare e dormire e svegliarsi e leggere libri col braccio alzato. Si tratta della punta di un indice che ripercorre le rughe, quasi ne conoscesse la storia a memoria. Si tratta di una corsa veloce per le scale all'ora giusta, di uno spiraglio di porta che si apre, di uno sguardo che sbuca, di attese soddisfatte, di baci a croce, di risate forti in faccia agli imprevisti, di liquirizia.

- Si tratta di un grido per le scale seguito da un abituale "ah sei qui!", si tratta di occhi orizzontali di un azzurroblu che è casa e mare allo stesso tempo, si tratta di risate sciocche e inestimabili dopo il pranzo, di schiene bruciate a ogni spiraglio di pelle che appoggia per sbaglio alla ole, di nervosismi colti prima del primo sguardo, di lacrime reciprocamente insostenibili. E mi basta immaginarti piangere per voler ricostruirti un mondo che non ti faccia più piangere.

- Si tratta di un posto in disordine, di parole dettelettescrittevissute, si tratta di una porta che si apre sul vuoto, di fiori che ogni primavera cadono dal vaso, di viti che maturano e poi si spogliano e lente forse poi rinascono, si tratta di una corsa tra due fiumi, di un grado in più ogni giorno in direzione primavera, di una presa in giro tra una mail e una correzione. Si tratta di un sogno in costante felice wip.

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