Nella corsa, prima, m'è venuto in
mente che quando ero bambina, e forse per tanti anni, a casa, in
soggiorno, c'è sempre stata una pedana con le piante sopra. Una
sorta di podio quadrato a due o forse tre gradini, in legno, color
rovere, con sopra le piante delle casa: fiori, tronchetti della
felicità, edere arrampicate su altre piante, ficus benjamino, forse
una palmetta, una kentia gigante, un pothos rampicante anche quello,
spatifilli almeno due, una sansevieria, un antiurica. Una macchia
verde dritta in fondo al corridoio, tra due finestre. Ci ho pensato
con nostalgia, ho ricordato la mamma e il papà giovani, a scegliere
piante anziché mobili. Forse l'edera era appesa al soffitto e
scendeva libera, adesso che ci penso, o magari è così adesso e mi
confondo. La pedana l'aveva costruita il papà, quando hanno cambiato
i mobili la pedana è scivolata fuori casa, prima è stata sul mio
terrazzo credo, poi è finita nell'ufficio della mamma. Anche lì era
bellissima, vicino alla porta finestra, alle spalle della scrivania,
con qualche pianta e tanti plichi di scartoffie. Lì mi piaceva anche
più che a casa, sarà che mi sono sempre piaciuti i tavoli pieni di
fogli e foglie. Chissà che fine ha fatto la pedana.
Circondata dalle rappresentazioni, dalle narrazioni. Provo a interpretare, a leggere il mondo. Cerco brandelli di realtà, poi rinuncio, poi capisco; e senza pretese m'immergo nello scambio.
mercoledì 8 novembre 2017
mercoledì 25 ottobre 2017
Appunti sulla bambina e anche su di me
- La bambina cresce. Mi piace tanto che cresca, mi dà modo di parlarle, di capirla, anche di dire chi sono, per certi versi, di diventare a mia volta persona.
- La bambina ha iniziato a perdere i denti, le manca qualcosa sopra davanti, non li ho mai imparati i nomi dei denti, a parte i canini. Quindi ha un buchetto nell'arcata superiore. È un buchetto che me la rende molto dolce, un difetto che la rende più bambina, più tenera, più imperfetta. Cambia un po' il modo in cui dice la esse, quando ride la risata sembra più vera.
- Una notte della scorsa settimana la bambina s'è svegliata alle quattro o giù di lì. Il padre dormiva. Io l'ho sentita che chiamava papà. Era al buio, nella stanza. Alzandomi da letto ho detto: bambina, stai tranquilla che vengo ad accendere la luce. Il lamentio s'è placato, io m'avvicinavo nel buio del corridoio, con la mano sull'interruttore ho detto: bambina chiudi gli occhi che accendo la luce, così non t'accechi. E ho acceso. La bambina mi pareva addirittura più piccola, in piedi, in un posto improbabile della stanza; mi ha guardata con tenerezza, ha detto grazie sara buonanotte sara e s'è rimessa a letto, io le ho detto ti prendo una lucetta, e ho acceso una abat-jour, le ho dato la buonanotte e sono tornata a letto. Sdraiata ho provato una sorta di benessere, è stato bello soccorrere la bambina, sentire il suo essere a proprio agio con me, con la mia presenza, anche se nella notte, anche se nel buio. Poi non riuscivo più a dormire, proprio per questo sentimento più grande del previsto, questa che mi verrebbe da chiamare abitudine (io e la bambina ci siamo finalmente abituate l'una all'altra, dopo sei anni?), ma “abitudine” non è la parola giusta, la parola giusta mi viene in polacco, Oswoić*, addomesticare. Forse che io e la bambina ci siamo addomesticate?
*Ahimè, la parola viene da
Mały Książę, il
piccolo principe, che Paka mi leggeva certe sere in polacco; sul
nostro dizionarietto non c'era, per capirci abbiamo discusso almeno
un'ora in un improbabile inglese, poi mi pareva di aver capito,
eppure in italiano non sarei mai arrivata a dire: addomesticare,
l'ho cercata qualche giorno dopo su un bel grande dizionario, e
ricordo ancora oggi la sorpresa che provai nel leggerla.
L'ho usata tanto poi, in polacco, la
parola addomesticare, in tante liti, come capo d'accusa.
sabato 23 settembre 2017
Blecher e la ripresa del lavoro e il vuoto nel petto
Finalmente
riprendo a correggere e mi sento a casa. In un territorio mio, con
tempi diversi da quelli del mondo, tempi dettati dai capitoli, dai
contenuti, da quello che riesco a reggere a livello emotivo, dalla
concentrazione che riesco a tenere.
Riprendo
a correggere con un bel libro, un libro che aspetto da qualche anno,
di un autore che mi piace tanto, fin da accadimenti nell'irrealtà,
un libro tanto magmatico.
Leggo
una frase che dice così bene quello che ho provato la settimana
scorsa che quasi mi commuovo: "In petto gli si era scavato un
vuoto atroce, simile a un bisogno profondo di riprendere fiato, o di
piangere."
mercoledì 13 settembre 2017
Faccio un respiro profondo, vado a fare una corsa.
Il giorno che ho iniziato a vivere qui mi
ha accompagnata la famiglia. Abbiamo montato la libreria, pranzato
insieme. Poi sono partiti. E mentre la loro macchina si allontanava
per la stradina, sentivo un senso di vuoto, di mancanza d'aria nel
petto.
Ricordo che ho dovuto calmarmi,
concentrarmi, respirare a fondo.
Per fortuna quel giorno avevo l'amore
al mio fianco, abbiamo preso la moto e siamo andati al lago, anche se
c'era ancora tutto da sistemare.
Giorno dopo giorno ho in qualche modo
imparato a stare qui, l'amore era al mio fianco.
Oggi l'amore è partito per quattro
giorni, e sento la stessa sensazione annidarsi nel petto. Quel vuoto,
quell'assenza d'aria, quasi una nausea. Mi sento perduta, come se non
sapessi più niente. Come se avessi paura a uscire e dentro non
potessi respirare.
Faccio un respiro profondo, vado a fare
una corsa.
mercoledì 3 maggio 2017
Sogno in polacco.
Sogno in polacco, spesso.
È stato due anni fa l'ultimo viaggio
in Polonia, eppure la notte, regolarmente, sogno in polacco. Mi
stupisce al mattino ricordarlo, ma è bellissimo che nelle notti il
cervello parli quella lingua e costruisca frasi e cerchi vocaboli. È
un regalo che mi faccio da sola, forse perché ho il timore grande di
dimenticare tutto.
E così certe notti torna Paka, certe notti
Marzena fa una festa, certe notti metto dei bulli al loro posto.
Biascico qualche parola che tiro fuori
non so da dove, racconto cosa faccio, litigo a volte.
E il mattino mi alzo e provo un po' di
nostalgia, nostalgia linguistica, di suoni e parole dormienti.
venerdì 3 febbraio 2017
Che voglia d'impacchettare il minimo e partire.
Sopravvissuta a gennaio. Ogni anno mi
pare più difficile, l'eterno gennaio.
In questi giorni ho sentito tanto il
bisogno della bellezza, dell'acqua, delle montagne, anche solo dalla
finestra, del verde o del bianco, del vento. Mi sono spesso
immaginata in una casa di vetro vicino a una cascata, con l'acqua
spruzzata sulle pareti.
Sono stata triste in questi giorni, e
tanto mi sono chiesta se seguo la strada giusta. Se non sto forse
virando lenta un po' a sinistra o a destra e senza accorgermi mi
ritrovo su un altro binario.
Ho paura di perdere tanto mondo.
Ieri ho visto un film che di bellezza
era pieno, Human, di Yann Arthus-Bertrand. Che meraviglia, che
ricchezza questo mondo, di persone, di posti, di bianco di verde di
deserti.
Che voglia d'impacchettare il minimo e
partire.
mercoledì 4 gennaio 2017
Cuore di palma
L'anno è iniziato con la bambina
quest'anno. Avevo molta paura di questo inizio, perché quello che si
fa il primo dell'anno si fa tutto l'anno. E io non volevo-voglio fare
la matrigna tutto l'anno.
Però è iniziato bene, sopra le
aspettative, la bambina era di buonumore, abbiamo giocato a carte,
tirato sassi nel lago, abbiamo fatto la lotta per finta, hanno fatto
i compiti, sono andati in piscina, sono andata a fare una bella
passeggiata sull'olimpo, siamo andati al cinema, abbiamo cucinato e
mangiato, andati in bici e corso e letto. Sono stati giorni di sole.
Io sono stata bene, il padre è stato bene, la bambina è stata bene.
Poi è arrivata la sera del saluto, il
padre cucinava, io versavo del vino, la bambina giocava con dei lego.
Io e il padre chiacchieravamo e parlavamo dei cuori di palma, che ce
n'è una confezione, e chissà cosa sono e come si mangiano. E allora
mi sono messa a cercare come si e se si cucinavano e ad alta voce ho
iniziato a elencare dei titoli di ricette. E a quel punto la bambina
si è avvicinata al PC e ha detto “mamma ma cosa sono i cuori di
palma”. E io ho avuto un sussulto, un tremito, un salto interiore.
Ho fatto finta di niente, quasi sotto shock, e ho risposto: “sono
il cuore della palma, pare che si possa mangiare, ma non so bene se
si cucini e come.” O una cosa così, non mi ricordo. La bambina s'è
rimessa a giocare. Mi sono avvicinata al gas dove il padre cucinava e
l'ho guardato con tanto d'occhi e lui m'ha guardata con tanto
d'occhi. E lui pareva voler scoppiare a ridere, io scuotevo la testa
come a scrollarmi di dosso qualcosa. E poi ho pensato che in realtà
è un errore dolce, dettato dal sentirsi a suo agio, e che in fondo è
un buon segno. Con senno di poi però mi spiace di non aver risposto,
magari anche con la r arrotata e aristocratica: “figliuola, sono la
creme de la creme da la palma”. Perché allora il resto della cena
sarebbe stata tutta un'altra storia.
I cuori di palma comunque non si
cucinano, sono in una sorta di salamoia e somigliano ai carciofi,
hanno una consistenza interessante, quasi a lamelle, come fogli
commestibili.
Iscriviti a:
Post (Atom)