venerdì 25 febbraio 2011

lista del 25 febbraio

1. Vocazione alla perfezione
2. Quelle lacrime venivano da molto lontano ed era commovente vederle arrivare.
3. Sangue che unisce, sangue che divide - riflessioni da approfondire.
4. suggerisce Rob B.: Decidi di mettere l’accento sulla gioia che provi, non sulla difesa della tua immagine. (!)
5.  Bacio del buongiorno dolce come un biscotto, viso accarezzato dalla barba, occhiali a mostrarmi che è giorno, ma fuori il giornoancora tentenna.
6.

martedì 22 febbraio 2011

I curiosi si pagano di sabato

"I curiosi si pagano di sabato", diceva mia nonna. Diceva un sacco di altre cose, proverbi e filastrocche e canzoni, ma di questa frase ricordo anche l'andamento canzonatorio; sono sempre stata curiosa, ma dimenticavo quasi sempre tutte le domande prima che arrivasse sabato.
A volte i curiosi non vogliono davvero sapere, se volessero allora forse si appunterebbero le domande su un'agendina. A volte i curiosi buttano domande a destra e sinistra senza esser sicuri di poter serenamente accettare le risposte, forse non si rendono conto della portata delle domande, forse non sanno che le risposte a volte possono sembrare schiaffi, anche senza volerlo; di certo senza volerlo.
E allora forse la nonna era saggia a non rispondere a tutto e subito, a lasciar che il tempo facesse una selezione delle domande da fare. E allora forse i curiosi dovrebbero contare fino a un tot prima di chiedere, e forse dovrebbero anche chiedersi: ma voglio proprio saperlo?



"A wisdom that took me away from the bed"

martedì 15 febbraio 2011

Dentro – fuori. (Appunti ennesimi per un primo riordino della complessità)

Ci sono posti dove il dentro e il fuori si confondono.
Luoghi dove il dentro sembra davvero il fuori, luoghi dove da dentro si vede fuori un lampadario appeso al niente. Da fuori si vedono dentro una pianta e un pezzo di cielo.
Tutto è iniziato in un luogo magico, in un tempo magico. Era l’inverno. Era neve. Era un museo col nome di un panino. Era un pomeriggio che sembrava notte fonda. Era la grande città.
Annotai, senza badarci troppo: “come quando si guarda alla finestra e si vede un po’ fuori un po’ dentro, e queste immagini, l’esterno e l’interno sembrano sovrapporsi. A volta ne risulta un’immagine bellissima, altre volte un molesto disordine”.
Qualcosa però, proprio in quel momento che ricordo nitido (dalla finestra le luci blu del giardino fuori si componevano con le lampade al muro alle mie spalle e il grande arazzo era quasi appoggiato laggiù, tra la fontana e l’albero spoglio, e l'intera sala, e me stessa, e il lampadario, e lo sporco del vetro... tutto, il dentro il fuori... tutto era su quella superficie, su quella finestra; temevo addirittura di vedervi i miei peccati scritti a chiare lettere tanto il tutto debordava), si è incastrato nella mia testa, e ancora oggi, ad anni di distanza, il discorso dentro fuori mi fa perdere interi pomeriggi.
Un pensiero di crasi tra dentro e fuori l’essere umano dà ipotesi curiose, esplorabili.
Se apparissimo fuori così come a volte sentiamo dentro avremo forse più teste. Probabilmente più cuori. Di sicuro brandelli di fegato rosicato e stomaci corrosi. Se apparissi fuori, così come forse sono dentro: il muscolo della volontà sarebbe acciaio, il peso della malinconia ingombrante e limitante, la lucidità di alcuni istanti zampillerebbe come una ferita intermittente, l’ingenuità sarebbe pelle liscia, il catastrofismo sarebbe una profonda ruga in piena fronte.
Se proiettassimo insieme al fuori il dentro magari cambierebbe il colore del contorno, la forma della cornice, ci sarebbero macchie sugli schermi tra un ricordo e il vento che soffia.



(1. ricordare di sprecare un paio di pomeriggi, dopo l’esame, in cui pensare al dentro fuori materia - liquidi, respiro, gusto, udito – esplorazione sensoriale dentro fuori ESDF e 2. scambio vitale dentro fuori 3. post a, post b)

giovedì 10 febbraio 2011

mi sa che non me la sento

- Allora la solitudine è la potenza di una virgola, quando arriva dopo che tutto è diventato discorso, e quel discorso ha lettere straniere, è fatto di voci che si accavallano con rabbia, ogni voce cerca di sovrastare le altre, questo era quello che giorno dopo giorno sentivo e restavo a letto per settimane, nessuna frase finiva, nessun detersivo lavava più bianco, nessun amore incominciava con il piede giusto, non c’erano punti né tanto meno punti a capo ma solo virgole, discorsi interrotti sull’iniziare di qualcosa che non era racconto.-Aldo 9
- nella città e nelle società competitive tutto è orizzontalità indistinta ove ci tocca correre per essere dentro, avendo come destino quello di essere sempre fuori.
- non credo nel popolo, neanche un po' - NOI, siamo una moltitudine indistinta, abbiamo smesso di essere un unicum.
- Ma noi non siamo che semplici commercianti, bambina mia, le nostre autoanalisi sono disperatamente trascurabili. (T. Mann, Buddenbrook)
- non me la sento, forse, di permettermi di volere cose che poi non mi permetterei di chiedere.
- vi sono contesti in cui persino la luce del sole diventa odiosa, o in cui il bene supremo (presumibilmente la vita), diventa un peso.
- penso ad Antigone in questi giorni, a un'Antigone che sta fuori dalle mura della città perchè non ne condivide le leggi.

domenica 6 febbraio 2011

Un uomo di montagna

Vorrei essere un uomo di montagna. Non l'uomo di montagna, bensì un.
Solo un paio di volte al mese, non di più.
Uno di quegli uomoni che non seglie, che è.
Uno di quegli uomini di muscoli vivi, di pelle forte, di barba malrasata.
Uno di quelli i cui occhi contro il sole illuminano una stanza, di quelli che ridono delle proprie follie.
Di quelli che a raggio esplorano una buca per salvarsi dalla fredda nebbia delle montagne.
Che si portano zaini pesanti, che si spogliano senza pudori nei prati come nelle stanze.
Uno di quelli che ha visto così tanta bellezza da riuscire a possedere la sua semplicità.
Vorrei essere un uomo di montagna un po' rude un po' tecnico.
Vorrei avere le mani forti rovinate dalla roccia, il suo coraggio scanzonato, non sentire il dolore delle ficcole ferite.

mercoledì 2 febbraio 2011

vivere da sola parte 12 (ovvero il dolore del corpo)

Nella notte mi sono bruciata una mano.
Maneggiavo dell'acqua bollente e l'ho rovesciata tra il pollice e l'indice, tra il palmo e il dorso della mano sinistra.
Nessun grido, nessuna parolaccia.
Chi vive da solo in automatico impara forse a non esternare il dolore del corpo.
Non ha un perchì (neo), non ha un perché.

Ho stretto i denti in quell'istante, appoggiato la pentola al gas, aperto l'acqua fredda.
Ed è iniziata una notte infernale. Una notte di dolore e pensieri di dolore che si credevano dimenticati.
Una notte di solitudine e ghiaccio sulla mano e lamenti silenziosi e crema appiccicosa sul pulsare del bruciare.

Riflessione appunti:
- il dolore del corpo che invita al dolore del cuore (vedi kein flug)
- il non esternare dolore senza presenze a poterlo sentire

lista del gennaio ammazzato

- Siamo a febbraio, e anche quest'anno sono sopravvissuta
- Una clessidra incollata al tavolo è una catastrofe. È l’impossibilità di iniziare ancora. Sancisce una fine definitiva. Una clessidra incollata non è come una clessidra rotta, come un orologio senza batteria, come un timer da cucina. Non c’è rimedio alle clessidre incollate. Sono come le malattie terminali. Come la vita, mi sa.
- Respiro.
- Incastro un colore a matita sui capelli, meglio incastro i capelli sun (mi sembra lecito proporre la somma tra su e un) colore a matita.
- Una clessidra incollata equivale a un errore irreversibile.
- Ho aperto un quadrenetto, dentro scrissi: la crudeltà peggiore? buttare acqua nella cassetta delle lettere. (Ach, che irrimediabile romantica!)
- Scrive Aglaja Veteranyi: Conosco la lingua madre con l'olfatto. Ci penso da giorni, A.V. scriveva in tedesco, lingua non madre, imparò a scrivere piuttosto tardi. Scrive usando frasi brevi, precise, visionarie. Che scrivere in lingua madre sia un disturbato tentativo d'educare l'olfatto?
- ricordarmi di distinguere l'azione dall'intenzione.

Alternanza Locativa (lingua e/o vita)

Esite una regola universale che sembra far parte della dotazione cognitiva della facoltà di linguaggio.
L'entrata lessicale dei verbi contiene indicazioni precise circa l'argomento che subisce un cambiamento profondo nel corso del processo a cui il verbo si riferisce:
l'argomento che corrisponde all'oggetto che subisce il cambiamento viene realizzato come complemento diretto del verbo!

legenda:
σn è sintagma nominale (è il complemento diretto)
σp è sintagma preposizionale (è il complemento con la preposizione)

Eccoci:
1. carico il camion di fieno
(camion  σn - fieno σp)
2. carico il fieno sul camion
(fieno σn - camion σp)

Il verbo caricare, così come sgomberare, spruzzare, pulire (verbi a tre posti dove un agente esterno fa sì che un oggetto cambi di posizione) permette di scambiare, senza apparentemente variare il significato, il sintagma nominale e preposizionale tra loro.

1. verso l'acqua sul tavolo
2*. verso il tavolo d'acqua

il verbo versare, così come riempire, rovesciare, non permettono tale inversione. Perchè? Come lo sappiamo? Abbiamo forse studiato quali verbi consentono l'alternanza e quali no?
No, sembra che tale prescrizione sia interna all'entrata lessicale, è la lingua che decide quale oggetto subisce lo spostamento, e nei verbi in cui è il parlante a scegliere, senza troppo pensare, in automatico, utilizzerà come sintagma nominale l'oggetto che subisce lo spostamento maggiore!

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