martedì 30 novembre 2021

Amo o non amo?

 

Cara Revisora,

come si capisce se si ama ancora il proprio amore? Negli ultimi tempi mi chiedo se provo le stesse cose che provavo, o se mi sto adagiando nelle solite dinamiche, incancrenendo la relazione.

Fragolina 85


Cara Fragolina 85,

la domanda che mi poni è interessante e ha una soluzione facilissima. Amare è un verbo transitivo, un'azione che si compie. Non si tratta di una cosa magica e sulla quale non si ha controllo, un sentimento che c'è o non c'è a seconda delle congiunzioni astrali. Per amare bisogna amare, è una scelta, è un'azione, anzi - una scelta di azioni. Porti rispetto alla persona interessata? Allora stai amando. Senti gioia all'idea che avete qualche giorno di vacanza insieme? Allora stai amando. Per quanto riguarda le dinamiche... beh, quelle non sono un'indicazione dell'amare, ci si adagia nelle dinamiche sia che si ami sia che non si ami; e lo stesso vale per le relazioni in cancrena, anche in quelle a volte si ama.

Fragolina 85, che quello sia il tuo anno di nascita o la tua età, ti do questo consiglio, prima di crogiolarti nelle domande inutili e perdere tempo (o anni preziosi, soprattutto se quell'85...) fai un respiro e prova ad amare più che puoi, per una settimana, dieci giorni, prendi quel verbo così pretenzioso, amare, e agiscilo a più non posso. Sono certa che capirai da te se ti costa molta fatica o se ti dà molto piacere. Buona fortuna!

venerdì 19 novembre 2021

Blunotte e l'autunno

 

È autunno pieno, fuori e dentro. Foglie che cadono, qua e là sprazzi di bellezza e d'incanto, pioggia continua, il freddo che arriva ma si può ancora stare senza sciarpa. Umore un po' cupetto, ma anche energico a sorpresa, testa che cerca il vento, occhi che cercano la bellezza dei posti, quasi una resistenza al futuro, come si cercasse di fermare il tempo, di rallentarlo, di non far arrivare l'inverno e il suo freddo e tutte le cose faticose di dicembre.


L'altra notte ero in macchina, tornavo a casa dopo la serata di lavoro e assaggi di Côtes du Rhône. Il telefono era spento e già scarico, la musica alla radio non mi piaceva, così ho messo il porta cd tra le gambe e provato, alla cieca, a vedere se cambiando a caso trovavo qualcosa. Si è rivelato un gioco così entusiasmante che ho perso l'uscita giusta. Così ho vagato nelle strade deserte, tra tante macchine parcheggiate, alla ricerca di qualcosa di familiare, che mi riconducesse a casa: il nome di un paese di cui conosco più o meno la posizione, una via che non sia sconosciuta, un grande edificio noto... ho girato qua e là, poi l'indicazione di un paese già sentito, l'ho seguita, la radio spenta stavolta, mi sono reimmessa sulla stradona, sono tornata indietro e uscita all'uscita giusta. A quel punto ho riacceso la radio, il cd era un vecchio cd della carmen consoli. L'ho cantato a squarciagola, come canta edda certe canzoni, con una sorta di liberazione, di disperazione.


Oggi ero in macchina, stavo andando al parco a correre, cantavo una canzone, una vecchia canzone dei miei tempi, di quel vecchio cd dell'altra notte, e di colpo mi sono messa a piangere, e non riuscivo più a smettere. Piangevo e cantavo e guidavo, pensavo alle mie sorelle distanti, alle cose non dette, alle cento protezioni che alzo sempre con d, a questa sorta di insensibilità che ho ultimamente. Sono arrivata al parco, ho corso lenta sui viali fogliosi e pieni di scoiattoli, ho bevuto a una fontana, ho pensato al libro a cui sto lavorando e alle piccole novità che quest'anno mi hanno tenuta viva e ho visto un albero rosa, bellissimo. 

 


 

giovedì 9 settembre 2021

Eravamo in una casa nel bel mezzo del niente, quasi fosse sull'albero.

 

Eravamo in una casa nel bel mezzo del niente, quasi fosse sull'albero. Avevamo bevuto, forse avevamo bevuto tanto. La musica ci riempiva il corpo, e la testa. Ballavamo scalzi sul tappeto di stuoia, ballavamo senza risparmiarci. Tu sceglievi la musica e io ballavo e tu ballavi, e D un po' ci guardava un po' ancheggiava timido. Parlavate di musica, io tenevo il calice in mano e roteavo quasi avessi veli colorati addosso. Poi s'è fatto tardi e ci siamo salutati con un abbraccio stretto, con un grazie grande quanto il cuore. Poi in macchina ho visto che non vedevo, avevo lasciato gli occhiali lì, nel dionisiaco. Così siamo tornati, c'era la luce gialla nel cortile della casa, come una lanterna. Tu eri seduto su un'altalena, o una panchina. Mi hai accolta, dato gli occhiali, salutata con una tristezza nuova negli occhi. Era appena morta la mamma della tua compagna, ma non me l'hai detto in quella sera lì.


In macchina ho dormito, a casa ho lavato i denti, bevuto tutta l'acqua che potevo, poi ho dormito ancora. La sveglia col mal di testa, le valigie, la partenza. Poi al mare, man mano che riprendevo conoscenza, mano a mano che realizzavo il buffo male alla pianta dei piedi, ti ho scritto e me l'hai detto. E ho capito quel velo cupo negli occhi, nel saluto.


Quel velo cupo ce l'ho anch'io in questi giorni, nei giorni scorsi, in certi momenti di lucidità. È morto il papà di D. E mi capita, adesso in questi giorni di lavoro e di stanchezza, di ascoltare Antony, che abbiamo ascoltato e cantato a squarciagola, e di tornare lì, e sovrapporre quel tuo velo cupo al mio, e cantar via tutto il dolore, con tutta la voce. Anche se non arriva così in alto e così intonata. Cantar via la morte e le nostalgie, le brutture. E riempirmi i polmoni dell'aria della notte, e di questa vita certamente storta.

sabato 6 marzo 2021

cenni.

Qui, le giornate si allungano e l'aria punge meno. Succede di tutto, eppure tutto resta immobile.
Torno a camminare, bellissimo. La linfa che scende fino al piede, il muscolo come un cucciolo che corre in giro senza equilibrio.
Chissà se tornerò a sentire il meltemi, quest'estate.
Chissà se torna la pace in Armenia, un giorno.
Pensare all'altrove comincia a far male.
A me, che per la prima volta sono uscita da sola due giorni fa, che rimparo a camminare in questi giorni, che dalla camera alla cucina con un computer in mano è la nuova indipendenza.
Ieri ho scappottato. Vento fresco, sole fresco. Con gli occhiali da sole e la giacca a vento mi sono accomodata sul sedile del passeggero, gli occhi semichiusi, i capelli in volo.
Per un attimo la gabbia era aperta.

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