mercoledì 21 novembre 2012

Non entro mai nella stanza chiusa, raramente apro l'armadio che profuma di vecchia lavanda.
Oggi mi hanno parlato della nonna, spesso mi dimentico che vivo nella sua casa, ho ridipinto le pareti, spostato i mobili, e questo così tante volte che ormai la nonna non è più proiettata da nessuna parte dai ricordi. A volte, solo a volte sul tavolo della cucina, mentre fa una crostata, col mattarello pesante, e sul ripiano in legno. Una montagnola d'ingredienti e sulla cima ciak ciak, un paio di uova fresche aperte e versate una alla volta con una mano sola – mi guarda e mi chiede di spostarle gli occhiali appoggiati lì vicino, che sennò s'infarinano. O appollaiata su una sedia, mentre mangia in una tazza bianca dalle decorazioni blu un carciofo col cucchiaino e guarda telenovelas sudamericane.
Un giorno, ero alle elementari, ho chiamato un'amica per chiederle i compiti. La nonna era lì seduta vicino a me, e giocava con le cose nel mio astuccio. La nonna era una da astucci e comparti, divisori, sacchettini e borsettine dentro alle borse e fazzoletti profumati e stirati in quadrati perfetti. Era una da tabelline e poesie recitate senza dubbi, da partite alle carte tutto il pomeriggio sotto la pergola. Frugava nel mio astuccio, giocherellava, ha preso in mano un evidenziatore e mi ha chiesto cosa fosse. Un evidenziatore rosa le ho detto. L'ha provato su un angolo del giornale, le ho spiegato a cosa servisse ed era felice. E sorridente ha espresso un concetto che io ricordo ancora e che a tratti ho usato come motto della mia vita: che vale la pena di vivere se a sessantanni ancora scopre cose nuove, e chissà cosa inventeranno l'anno prossimo. E io penso di aver riso, e poi quando la nonna è morta di aver pianto tutte le mie lacrime pensando a quello che mai avrebbe scoperto. E certi giorni ci penso, quando scrivo una mail, quando m'imbatto in una foto dello spremiagrumi di Stark.
Oggi mi hanno parlato della nonna e dei rapporti che c'erano tra le famiglie.
Aiuto. Schietto aiuto. Sorreggersi.
Io sono una sfegatata fan dell'individualismo, rinchiusa dietro a inviolabili cancelli di solitudine, forza, paure, speranze. Sono quella che non c'è mai sulle foto di gruppo, perché non mi piacciono i gruppi, non riesco a relazionarmi con tante persone insieme, non mi piacciono le dinamiche del tutti per uno. E non è cattiveria, è piuttosto paura, desiderio di completezza, poca pazienza.
Però quando sento i racconti del passato li ascolto con un luccichio negli occhi, e mi accorgo che mi manca qualcosa. Mi manca quel colore giallo raccolto dell'infanzia, che è il colore delle foto dell'infanzia, e anche dei miei ricordi pieni di adulti in campagna, della vendemmia insieme e io che provo a guidare un trattore, e di amici che fanno legna insieme e poi se la dividono, e di porte appena appoggiate e mai chiuse a chiave.

giovedì 8 novembre 2012


Rubare attimi, rubare giorni, scavare nel tempo come a mani nude nella terra.
Scavare ora dopo ora, guardare il buco nella terra del tempo, sentire un'unghia spezzata e un braccio affaticato, eppure gioire vedendolo già piena di noi.

Archivio blog

unknown ID