venerdì 30 settembre 2011

bene e male non fanno media, ma schizofrenia emotiva

Turbata affranta nostalgica commossa toccata malinconica tesa nervosa agitata emozionata spaventata stanca innamorata. Innamorata forse li comprende tutti, forse comprende tutto. Innamorata di persone e di città, col cuore in subbuglio per le partenze e per i ritorni. Innamorata di una lingua e di una cultura che mi fanno sentire a mio agio anche imperfetta. Innamorata di una persona che mi fa invece sentire perfetta.
Scende dietro ai tetti questo ennesimo sole. La scuola di fronte è già chiusa. Il cielo s'ingiallisce proprio lì dove rimbalzano i camini. Domani torno. La parete di edera gigante non mi dà più il buongiorno, i negozi chiudono alle sette, la gente non è capace di star bene senza farsi male. Voglio un posto nel dentro dove poter riposare. Voglio corstruire ore di vuoto innocente. Voglio portare a casa le nuove persone. Voglio potare il gelso, affinchè ricresca più forte. Sto bene e male insieme, e non è brutto. Sto bene e male insieme, e non è come essere a metà, è molto molto più bello.

lunedì 26 settembre 2011

En passant (appunti di viaggio)


Pantaloni grigio-verdi a vita alta-altissima, cintura sottile, nera, la fibbia nascosta da un rimbalzo di pancia. Camicia a righe gracili bianche e blu, capelli grigi, orecchie grandi (qualcuno m’ha insegnato che le orecchie non smettono mai di crescere). Non vedo il viso, mi volta le spalle, ma gli vedo le dita.
La mano resta sospesa a mezz’aria, sotto, in piedi, la regina nera nel fazzoletto bianco, qualche pedone, una torre marrone chiaro. Pollice e indice quasi a toccarsi, sorvolano la scacchiera, ondeggiano incerti tra la regina e il cavallo, poi la mano s’abbassa.
La regina di un passo si sposta in diagonale.
Suona il telefono, e una e due e tre volte.
Si alza dalla panchina, si scusa:
- sì va bene, ma possiamo vederci dopo? Adesso sono proprio occupato. Sì sì domani va bene, anzi è meglio, è meglio se parliamo domani.
Si gira verso di me, ha baffi bianchi come quelli di Walesa, le sopracciglia folte e spettinate. Si siede nella stessa posizione di prima, sporto in avanti.

È un pomeriggio assolato, la Vistola rumoreggia. Si crea un cerchio attorno al tavolo, si fermano persone a guardar la partita, solo uomini. Capotavola 1: maglia gialla, occhiali dalle lenti gialle, e dalla catenina anticaduta, pantaloni marroni, sandali e calzini; la testa appoggiata ai palmi delle mani. Capotavola 2: uomo senza età, dai venti ai cinquanta, aria trasandata, zaino spesso sulle spalle, maglietta macchiata, sgualcita, occhiali dalla montatura sottile, naso affilato, figura minuta, scarpe in pelle con suola rasoterra. Vicino ai giocatori altri due uomini di mezza età che dimostrano almeno dieci anni in più, capelli brizzolati, corpo in sovrappeso, sguardo concentrato. Il tavolo è avvolto nel silenzio.

Col pugno si regge la testa l’antagonista. Ha il viso sottile, rughe sul mento, sulle guance, sulla fronte, sugli occhi, le abbra anch’esse una linea, l’ennesima piega.
Guarda stupito la mossa, rapido replica, sorride. Scuote la testa, che sia meraviglia?

Tutto si ferma, otto persone guardano fisse il quadrato dei quadrati fatto di marmo. Guardano in silenzio, mi sembra di vedere i loro occhi che spostano le poche pedine rimaste, che ripassano mosse. È evidente che gli scacchi sono una sfida tra i se stessi, prima che con l’avversario.
Attorno tutto si muove. Ibernato solo il tavolo degli scacchi.
Passano macchine coppie bambini tram barche, volano uccelli e aerei e una mongolfiera, là in fondo, rotolano palle cadono borse fremono di brezza leggera gli scialli.
I due giocatori, gli osservatori, spostano pedine col pensiero.
Scorre la torre bianca, avanza il pedone nero, l’alfiere sfianca il cavallo, la regina mangia l’alfiere, il pedone spodesta la regina, No!, daccapo.
Scorre la torre bianca, cavalca il cavallo nero e calpesta il pedone, scappa la regina s’avvicina al re, ma ecco l’alfiere che punta, No, ancora no, daccapo.
Scorre la torre bianca, scivola...
Come se ogni partita di scacchi contro un avversario ne contenesse cento, silenziose, con se stessi.

Ecco, il baffo ha mosso. La ruga risponde rapida, aveva previsto. Di nuovo la mano sospesa a mezz’aria, il polso piegato inclinato abbandonato come un braccio che pesca orologi nella grande scatola del lunapark.

La luce si riflette sui pezzi più chiari, i morti che giacciono fuori dal campo.
Gli occhi scorrono veloci, precisi, calcolano e ricalcolano. Di nuovo la mano sorregge il viso sulla guancia destra, e di nuovo il baffo di spalle aspetta prima di muovere, e un altro uomo dall’alto di ferma a sbirciare, anche lui a giocare. Il pedone nero quasi raggiunge il bordo avversario, labbra sottili alza gli occhi dalla scacchiera, sono azzurri come l’est, le sopracciglia si moltiplicano sulla fronte. Anche il baffo per un attimo alza la testa e si guarda attorno, l’orecchio arrossato dal sole, la ventiquattrore sciupata sulla destra, la giacca accasciata sulla sinistra.
Inizio a chiedermi se mai questa partita finirà. Suona l’orologio del castello. Nessuno lo sente. La mano pinza che sembra impiccata sfiora la corona, poi s’innalza ancora, muove il pedone. Viso rugoso affilato fa un lungo sì con lo sguardo, accenna a un sorriso. Ha visto. Fa la sua mossa e incrocia le braccia.
(punti importanti: tutto si muove attorno, i giocatori sono congelati - immobili; ogni oartita contiene centinaia di partite giocate con se stessi)

venerdì 23 settembre 2011

Pani Jesien

Oggi inizia l'autunno, e il più semplice dei caffè si è trasformato in un pomeriggio magico.
Credo che sia questo il punto, credo che sia questa la chiave dello star bene, del mio star bene. Un caffè che si trasforma in un dibattito, in una festa, in incontri emozionanti. Strade che si riempiono di sole, e occhi azzurri a guardarmi. E Pani Jesien che porta i fiori. E il sapore del sidro. E di colpo reazlizzo che se devo scegliere un luogo in cui stare bene, in cui tornare spesso, in cui lasciarmi scivolare dentro me stessa... beh, questo luogo non lo scelgo, ma mi sceglie, ed è la polonia. Ho assaporato un giorno bello, che mi fa stare maledetamente bene. Un pomeriggio che vale un'intera vacanza. Un pomeriggio a parlare, semplicemente a parlare. Un parlare che è sfida, conquista, soddisfazione, tentativo, scambio, carne. Che è lotta per dire ciò che sono, tra le battute, tra le interpretazioni, tra gli aiuti, tra la benevolenza e gli scherzi e l'apprezzamento, e i dubbi.
Inizia l'autunno. Inizia l'autunno. Inizia l'autunno. E difficile mi è pensare a un pomeriggio migliore.

giovedì 22 settembre 2011

BEZ gramatyki


La testa troppo piccola. La sento che prova a ingrandirsi senza successo. La sento che si tira si riempie si gonfia, come i corpi dei morti nelle acque del Prut.
Poi dolorante cede. Poi pulsante si stacca.
S’addormenta.
La testa è troppo piccola, oggi, per tutte queste parole nuove, per queste costruzioni grammaticali che da fuori provano a ordinare il dentro.
Le orecchie ingoiano ogni suono.
La bocca mangia lettere nuove.
Gli occhi significano altri simboli.
Le parole scappano da una parte all’altra, cambiano i casi a seconda dei suoni, le finali si staccano del senso per farsi solo musica.
[Dire qualcosa mentre si e' rapiti dall'uragano Ecco l'unico fatto che possa compensarmi di non essere io l'uragano]
Le parole, almeno le mie, se ne fregano della grammatica.
NB: non imparare mai la grammatica interiore – non imporre mai al pensiero una forma canonica

mercoledì 21 settembre 2011

doppia lamentazione

Anche oggi, così come ieri, così come a maggio dell'anno scorso, così come forse durante tutto il corso degli studi, mi chiedocome sia possibile che:

1. ogni corso di lingua tenda a banalizzare il pensiero dello studente e canonizzarlo.
Dobbiamo proprio tutti parlare nello stesso modo? con le stesse perole? zitti e senza mettere in discussione nulla?

2. ogni corso di lingua porti avanti una serie di stereotipi tra maschile e femminile da nausea. Certo, siamo adulti e capiamo che sono solo esempi, ma insomma!, perchè mai bisogna continuare a lavorare su cose utili solo all'insegnamento e non allo sviluppo di un modo personale di esprimere idee in una lingua.[riflessione che divaga: tutto il tempo rimangono nascosti nei libri di scuola i vecchi stereotipi]

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a parte il mio insegnante bigotto e noiosetto (nonostante abbia un solo anno in più di me), a parte gli esempi mai rappresentativi di un'apertura verso altri modi di vivere o di pensare... sta succedendo qualcosa in Polonia. Sui giornali si parla di donna, e non se ne parla per suggerire l'ennesima dieta, se ne parla in termini altri, di libertà personale, di assistenza da parte dello stato, di diritti e bisogni.


Se ne parla in modo cinico su alcuni giornali, speranzoso su altri. C'è stato da poco il Kongres Kobiet [Congresso delle Donne] a Varsavia, ancora sto cercando di capire di cosa si è discusso, a che punto di è arrivati, qual è stato il confronto internazionale che ha comportato e offerto. I prossimi post forse riguarderanno questo, e le caramelle gommose, chiaro.
Mi preme però un’ultima cosa; visto che con un lamento si apre questo post con un lamento si chiude. Intendo infatti segnalare il blog della carfagna, che ha partecipato all’evento.
Succede sempre così, faccio per non farlo poi lo faccio, mi dico no, non visitare il suo blog che ti si chiude lo stomaco, non leggere i post fatti come compitini che niente aggiungono alle tue conoscenze e alla tua visione del mondo, no S. ti prego non guardare quella foto plasticosa con sorriso politico a mortificare con la sua sola apparenza gli ideali che si spera almeno nasconda (visto che non li sostiene ne suggerisce). E invece ci cado sempre e ogni volta puf, ne rimango proprio amareggiata. Mi fermo qui, tanto se avete occasione di leggere il post si chiarisce tutto da solo, anzi no, ecco un accenno:

“Ho raccontato ai miei colleghi europei come l’Italia è intervenuta in talsenso, finanziando la realizzazione di asili nido, garantendo orari di lavoropiù flessibili, introducendo sempre più la figura delle tagesmutter, recependola Direttiva 54 in materia di pari opportunità sul posto di lavoro. Il tuttoper far sì che le donne si possano sentire sostenute nel difficile compito difar coincidere i tempi della famiglia con quelli lavorativi. A proposito dipartecipazione delle donne alla vita del Paese, i colleghi europei hanno dimostratoparticolare interesse in merito alla nostra legge sulle “quote rosa” nei cda:un’ulteriore dimostrazione del fatto che l’Italia in materia di pariopportunità non vuole restare alla finestra e che, anzi, un buon lavoro non puòche dare buoni frutti.”

tre cieli di oggi (appunti sull'ambiente)


Oggi il cielo era bianco. Ho camminato nella zona ebraica. Claudicante e mediamente sovrappensiero. Ho preso un tram. Sedevo nella direzione opposta a quella di marcia. Qualcuno sedeva dietro a me. Sentivo i suoi capelli sul collo. Se avessi buttato forte indietro la testa ci saremo fatti male.
Oggi il cielo era bianco quasi grigio [come denti d’inverno], ho corso nel bosco vicino casa, attraversato un parco, affiancato un torrente che sfociava nella Vistola; il vento freddo sulla pancia, dietro al collo, il verde e il bianco e il grigio tutto intorno. Il fiume grande si stendeva ai miei piedi.
Oggi il cielo era grigio e ho fatto il giro dell’isolato, per capire gli autobus, le fermate, i negozi, le persone. Era quasi l’ora della nostra cena italiana, ma non c’erano finestre aperte e telegiornali a tutto volume, non c’era rumore di posate sui piatti e grida di madri ipertutto. C’era un mite odore speziato a destra, e un grill improvvisato nel parchetto del ping pong.

domenica 18 settembre 2011

Ritorno - Riappropriazione - Ricerca (RRR parte 1 ovvero Alef)

Un terrazzino di piante mi riporta a me stessa.
Un pomeriggio col sole che scende, la mano che tiene una mano, un posto che ferma il tempo.
Il tavolo grande di legno, tovaglioli bianchi e lisci di stoffa, posate pesanti.
Liquidi dorati nei bicchieri davanti al sole, ambra?
Ho perso i suoni, ho solo i colori, di colpo i muscoli non sono tesi, di colpo non ho più fretta, di colpo capisco che sono padrona di me, che non mi ha poi del tutto la contemporaneità.

Ho perso le conversazioni, non ricordo le parole, non ricordo le storie.
Solo una lettera che è un numero, che è un nome, che è poi l'inizio, l'inizio del viaggio, l'inizio del Ri.
Alef

giovedì 8 settembre 2011

Regole per discutere.


In questi giorni ho studiato molto, in ritardo e con non poca sofferenza e difficoltà [di comprensione, di memorizzazione, di concentrazione, di (x)zione], gli argomenti, le dimostrazioni, le fallacie, i para argomenti... gli strumenti necessari per ragionare.
Strumenti per ragionare. Com'è possibile vivere tutto questo tempo e pensare tutti questi anni e parlare e discutere e confrontarsi... senza queste conoscenze basilari delle regole e strutture logiche e non?, magari con una conoscenza ingenua e poco affilata, ma comunque non sufficiente. Com'è possibile scoprire oggi di essere tante volte caduta in fallacia con me stessa?
Mi chiedo come sia possibile laurearsi in campo umanistico senza essere stata plasmata dagli strumenti per ragionare, mi chiedo perchè insieme alla grammatica, alle elementari, non si studino le argomentazioni e le dimostrazioni, la logica, la retorica, la dialettica, l'analisi delle costruzioni di pensiero.
Certo qualche libro in funzione di un esame non mi ha dato ciò che vorrei, ma mi ha perlomeno dato la consapevolezza di poter volere qualcosa.
Sto per ultimare, ma proprio alla fine di uno dei testi ho riletto un'affermazione che mi ha quasi commosso, e delle regole che proverò a interpretare e diffondere. Inizio da qui.

“Sono regole da seguire quando la ricerca della verità è impresa collettiva, fatta di discussione ma anche di onestà intellettuale e di rispetto per il punto di vista espresso dalla controparte, di confronto ma anche di dialogo”
Preliminari alla discussione
  1. Ogni argomentazione ha una sua sede opportuna. Per esempio, non serve discutere contro una legge del codice della strada con un vigile che è tenuto ad applicarla; la legge, eventualmente, va controargomentata in sede di proposta di modifica legislativa.
  2. L'argomentazione dev'essere adeguata al contesto socio-politico-culturale in cui è proposta. Per esempio, non ha senso argomentare in nome del valore supremo dell'uomo davanti a un consesso di religiosi, per i quali il valore supremo è rappresentato, invece, da Dio.
Apertura della discussione
  1. Il contributo alla discussione dev'essere presentato in modo adeguato alle modalità di scambio linguistico (principio di cooperazione).
  2. Ognuna delle parti deve interpretare le espressioni dell'altra nel modo più accurato e pertinente possibile (principio di carità interpretativo).
Discussione
  1. Le parti non devono utilizzare formulazioni oscure, tali da generare confusione; se richiesto, i termini devono essere definiti e le premesse devono essere esplicitate.
  2. Ognuna delle parti non deve ostacolare l'espressione o la critica di punti di vista.
  3. La parte che ha esposto una tesi è obbligata a difenderla se l'altra parte lo richiede.
  4. La critica deve vertere sulla tesi  e non su chi la sostiene.
  5. Una parte può difendere la propria tesi solo portando un'argomentazione pertinente.
  6. Una parte deve utilizzare solo argomenti logicamente validi, o la cui validità logica sia dimostrabile mediante l'esplicitazione di una o più premesse.
  7. Schemi argomentativi accettati e correttamente applicati non possono essere disattesi.
Chiusura della discussione
Se un punto di vista non è stato difeso in modo conclusivo, chi lo propone deve ritirarlo.
Se un punto di vista è stato difeso in modo conclusivo, chi vi si oppone non deve più metterlo in dubbio.
(La frase e le regole sono tratte e leggermente riassunte da Strumenti per ragionare, di Giovanni Buoniolo e Paolo Vidali)

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