giovedì 19 novembre 2015

un mese o poco più di scartoffie

“Non ce la faccio”.
E all'altezza del diaframma qualcosa è compresso, la bocca è serrata, il silenzio inonda la stanza rallenta i minuti. È quasi buffo, di sicuro ridicolo. Una persona adulta che deve dire qualcosa a un'altra persona adulta. Qualcosa di civile in modo civile, una difficoltà, una serie di difficoltà, una fila di parole e preposizioni e verbi e pause provate e riprovate e pensate e ripensate in dialoghi fittizi.
Nella testa le parole ci sono tutte, le ho dette e ridette e ripetute milioni di volte, a ogni corsa o passeggiata, quasi ogni giorno, per quasi due anni. Poi mi sono decisa ad aprire la scatoletta dei problemi. L'ho fatto con una lettera, ho solo scritto una serie di temi di cui parlare inerenti a cose che non mi fanno stare bene. E la lettera, una volta ricevuta, ha aperto la scatoletta. E una volta aperta era ora di parlare. La voce, non qualcosa di scritto, non nella mia testa, voce, dialogo. Uno dice e l'altro risponde e insieme si trova una soluzione, si dibatte, si capisce meglio l'altro. Ma non è uscito niente di quello che doveva uscire. La bocca serrata, l'attesa inappagata, i minuti rallentati, l'imbarazzo, qualcosa lì all'altezza del diaframma che pulsa e vuole esplodere o implodere, e lo sguardo verso le cartacce sotto la scrivania, verso le mani che si torturano l'un l'altra, e nella testa le cose da dire, tutto lì in fila, pronto, preparato con discussioni con gli amici, con interrogazioni interiori per sviscerare le cose, e niente. Solo a un certo punto, dopo qualche minuto o mese silenziosissimo la bocca si apre, le spalle s'abbassano, lo sguardo si alza. 
La bocca si piega, un sorriso rassegnato, e dice: “Non ce la faccio”.
Il corpo vince sulla testa in qualche modo. L'affetto o la paura (di ferire? Di ferirsi? Di frantumare-rsi? Di abbandonare? Più subdolamente di distruggere l'idea che si crede l'altro si sia fatto di noi?) l' affetto o la paura, pensavo, ammutoliscono la ragione.
La scatoletta rimane aperta, lì sul tavolo. 
Dopo un mese e più ci sono scivolate sopra un sacco di scartoffie.

mercoledì 18 novembre 2015

sogno, in breve io e il leone

Vendevo libri in un'aiuola. Erano tutti appoggianti per benino per terra, in questa aiuola che era anche una rotonda. Non riuscivo a venderli, ma ero lì per quello. A un certo punto ho accettato il fatto che non li avrei venduti e li ho messi via, con l'intento di tornare a casa. Dietro di me c'era un edificio religioso, ho pensato di farmi una doccia per rinfrescarmi, prima di andar via, lì nell'atrio dell'edificio c'erano dei bagni, e anche se c'era del via vai me ne fregavo. Stavo togliendomi il vestito con difficoltà nel farlo uscire dalla testa quando ho visto un serpente, ho gridato, anche se era piccolino e non ero spaventatissima, poi però, di colpo, il serpente ha agguantato la testa di una lucertola e di colpo si è mosso verso di me. Ho gridato ancora, spaventata, lui è uscito dalla porta ed è andato verso l'aiuola, finendo di mangiare la sua lucertola sul marciapiede. Proprio in quell'istante da dietro un angolo è spuntato un leone, e difronte a lui una scimmia, e il leone si è messo in bocca tutta la testa della scimmia. Ho di nuovo gridato, impaurita e disgustata, ci giocava, la metteva tutta in bocca e poi la faceva uscire dalla bocca, questa scimmietta (tipo quella di Ali, per capirci). Poi mi ha visto e veloce si è avvicinato alla porta dell'edificio, che era di vetro, ma di quel vetro mezzo plastica, finetto, e che aveva la struttura delle porte dei saloon quelle che si aprono da tutte e due le parti. Il leone veniva verso di me, io dovevo tenere chiusa la porta senza spingere né tirare. Il leone ha gettato di lato il corpo della scimmietta senza vita e di è piazzato lì, davanti a me che tremavo e tenevo le porte in qualche modo. Lì, grande e potente, ci siamo guardati negli occhi, i suoi erano piccoli e bellissimi.

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