Un giorno in Kurdistan abbiamo fatto un
pic nic. Il giorno è trascorso tra emozioni e cibi, e balli sulla
musica a tutto volume proveniente dalla macchina parcheggiata vicino
al fiume. È il giorno in cui sono caduta da cavallo. Verso sera
abbiamo deciso che era ora di tornare. Alcuni volevano tornare da una
strada più breve ma piuttosto faticosa, altri invece da un sentiero
lungo e placido con vista sul tramonto e sui monti dell'Anatolia. E
qui è la questione. Per me ci si poteva dividere e ognuno poteva
fare la strada che voleva. Il gruppo invece vedeva la divisione come
un fallimento, e così si è fatta una votazione. Ha vinto un gruppo
e tutti sono sottostati al volere della maggioranza. La maggioranza
voleva quello che anch'io volevo, quindi m'è andata bene, ma nel
caso contrario avrei avuto delle rimostranze. E le avrei tutt'oggi.
Perché mai, se ci si può scomporre in due gruppi ognuno dei quali
soddisfatto, bisogna procedere tutti in una stessa direzione non
condivisa?
Se la maggioranza avesse voluto fare la
strada breve e impervia io mi sarei opposta, perché quel gruppo
secondo me non doveva necessariamente stare insieme fino alla fine,
perché non mi riconoscevo in quel gruppo e nei suoi ideali di
condivisione totale, e soprattutto perché non potevo capire dove
stava il fallimento se ognuno faceva quello che voleva senza nuocere
agli altri.
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