domenica 20 novembre 2011

io e Tempesta


Io e il bambino siamo sulla spiaggia, spingo il passeggino nell’acqua, ma non nella parte profonda.
Il passeggino è un carrellino, come quello per trasportare i libri.
Io e il bambino non parliamo con la voce, abbiamo una sorta di linguaggio segreto, nella mente.
Il bambino mi è stato affidato. È arrivato come un pacco, con una lettera.
Nel mare nuota un po’, anch’io. Il tempo è brutto ma non è freddo.
Poi dobbiamo rientrare. Mi guardo attorno non lo vedo. 
Lo chiamo con la mente, sbuca da sotto un’onda e mi raggiunge. 
Il bambino forse somiglia a Tempesta, un bambino che conobbi tempo fa, nelle pieghe della Mesopotamia. Sbuca da sotto un’onda e mi raggiunge. 
Sale sul carrellino e insieme c’avviamo a casa. 
La strada è molto trafficata, e di macchine e di persone. 
I semafori scattano veloci, l’omino verde salta in rosso quando siamo a metà corsia. 
Acellero per passare, una macchina bianca suona il clacson arrabbiata. 
Io e il bambino alziamo le spalle. 
E con la mente ci diciamo: Sì. 
E così iniziamo a correre, tra le persone, tra i semafori, e io mi aggrappo al carrellino passeggino come fosse uno skate. E ridiamo, io e tempesta ridiamo di cuore. E al nostro fianco un ragazzo ci guarda, e corre, e inizia una finta gara, di colpo su corso Rosmini, quasi a raggiungere il Mart.

domenica 6 novembre 2011

Inventio (nel senso latino che unisce inventario e invenzione) senza scopo (nel senso che niente aggiunge o toglie a una sensata visione del mondo)


Ho tagliato i capelli di corsa, l’altro giorno. Così in fretta che ho solo rasato le parti laterali mantenendo intatta la lunga ciocca, legata da una molletta nella parte centrale. Non l’ho davvero mantenuta intatta, col rasoio per sbaglio ho appena preso un ciuffo, ho sentito il rasoio inceppare, ho spento, recuperato la borsa e perdifiato corso verso il treno.
Leggevo, vagone pieno, circa l’una, al mio fianco una signoruzza occhiali su punta del naso più catenella, davanti a me due giovani di colore, di fronte a sinistra (io sedevo controverso)  quattro giovani chiacchieronsuperficialfastidiose piene di borse cartonate coperte da loghi di note marche. Con naturalezza ho tolto la molletta per poggiare la testa sul sedile e lasciarmi addormentare qualche minuto. Quel dormire abbandonato, breve e pieno di sogni, con la testa che cade e si rialza in loop. Tolta la molletta però ho visto la prima bionda guardarmi e strabuzzare gli occhi. È l’acconciatura punkcasuale, ho pensato quasi con fierezza, sempre bello shockare le benpensanti. Poi abbasso lo sguardo sulla maglia e puf, lì giace un fitta ciocchettina di capelli, finalmente rilasciati dalla molletta dopo lo spregiudicato taglio errato. Arrossisco, faccio per toglierli dalla maglia di lana, ma sono tanti, si sparpagliano, non sono lunghi, mi sfuggono. Smalto rosa Poochie continua a guardarmi bocca aperta. Bene, mi dico mentre anche le altre girano perplesse il viso, inizia lo show. E piango in silenzio. Raccolgo i capelli dalla maglia, li butto nella tasca cestino metallica sotto il finestrino, e ogni gruppetto dorato gettato respiro più a fondo, ogni passaggio di mano il peso della vita che cresce, preziosa bellezza buttata. Sì, la malattia è terribile, bisogna combattere e farsi forza, bisogna accettare che sono solo capelli. Che sono solo capelli, e le lacrime scendono. E piano li tolgo tutti, e ogni tanto uno sguardo triste ai sedili di sinistra ormai silenziosi e turbati. Sì, perchè non tutti hanno una folta chioma, perchè magari, tu sciacquetta pronta a criticare il tagliopunkcasuale, non hai pensato nemmeno per un minuto che forse...; e mentre prendo un fazzoletto dalla borsa per asciugarmi gli occhi penso Ecco, forse è brutto scherzare su queste cose, ma pensa a cosa pensa adesso. Magari che sto morendo, magari che la vita ha una fine, che l’aspetto a volte cambia anche senza che lo vogliamo, che c’è chi sta peggio, che l’unghia scheggiata non è un dramma così grande, che come insegna Paulo Coelho bisogna vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, e essere se stessi...
E ammetto che un po’ ghigno dentro di me, che il teatroinvisibile non è morto e che lo si può portare avanti con un po’ d’improvvisazione; penso che il mio cinismo e la mia intolleranza verso le persone sfiorano i limiti di guardia, che il lettore Anonimo sarà pronto ad attaccare un uso poco delicato della malattia per scopi non specificati. E a questo lettore, che già non tollero, rispondo che si tratta dell’effetto ipotiposi, una rappresentazione della realtà più vivace della realtà stessa, ma anche che forse non è la realtà, è solo l’immaginazione; e aggiungo anche, tirandomela un po’, che l’argomento con cui si anticipa la mossa dell’avversario (l’intollerabile lettore Anonimo) per difendere e attaccare, è la prolessi.

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