sabato 31 luglio 2010

Tra-m 1000


Per un attimo provo a ricordare il tuo profumo.
Chiudo gli occhi e provo a mettere, come forse ho fatto l’ultima volta che ci siamo visti, il viso tra il collo e il colletto.
Che magnifico luogo! L’orecchio sente il battito, il naso il tuo profumo, la guancia il tuo calore.
Parlo del tuo profumo, ma ce ne sono più di uno,
c’è l’odore degli inizi, quel deodorante commerciale da giovane uomo - a volte, quando prendo l’autobus circondata da adolescenti stranieri lo sento, e mi torni in mente tu.
Lo chiamo: il profumo della giovane patria in nero.
C’è l’odore dei tuoi capelli lunghi, un odore di fumo, di lavoro, di sudore, di sole o di pioggia.
Hai tagliato i capelli, ma ho uno scialle che me lo ricorda, sì, è proprio lo scialle a scacchi, il mio preferito, quello sempre in simbiosi col tempo atmosferico.
C’è il tuo odore di sudore, lo associo all’alcol e all’intimità,
non ho niente a ricordarmelo vivo e pungente così com’era, forse voglio dimenticarlo addirittura.
Poi c’è il profumo che sta lì tra collo e colletto, è il profumo perfetto, è una casa in affitto.

Riconoscersi tra mille. Bello. A volte chiudevo gli occhi e con le dita ti scorrevo tutto il viso. Il profilo. Le sopracciglia. L’attaccatura dei capelli. Resti di barba. Labbra carnose.
Aprivo la tua bocca con le unghie e infilavo tra i tuoi denti le mie dita. Tastavo le gengive sotto, come un dentista senza guanti. Poi sopra. Canini appuntiti, incisivi lineari, premolari come striati, lingua gonfia, sfuggevole, con l’attaccatura a infrastruttura. Volevo memorizzare ogni dettaglio, essere in grado, anche da cieca, di riconoscerti tra mille.
A volte lo facevo anche con le tue mani e con le tue spalle, col sapore del tuo ombelico.
Volevo saperti a memoria.
Non realizzavo che saresti potuto cambiare. I denti però non cambiano, è così che spesso s’identificano i corpi, no?
Cambiamo.
Rinforziamo muscoli correndo. Accettiamo calli alle mani dal lavoro. Lasciamo crescere la barba. Tagliamo i capelli. Combattiamo già perdenti il tempo che passa.
Cambiamo fuori, cambiamo dentro.
Infragiliamo, ci proteggiamo. Arrogantiamo. Modestizziamo. Impariamo. Impazziamo. Incattiviamo. Combattiamo già perdenti desideri irraggiungibili di realizzazione.

giovedì 29 luglio 2010

Ginger candy



Estetica:
le caramelle hanno forma la forma di un piccolo prisma a base rettangolare, lunghe due centimetri, alte mezzo centimetro, larghe poco meno di uno. Ogni caramellina è incartata, aprendola la caramella ha color marrone e una leggera imbiancatura (zucchero? Farina?gggioga?)
Gusto:
molto forte, così forte che consiglio di mantenere metà caramella nell’incarto e succhiarne l’altra metà. Adoro il sapore sprezzante dello zenzero, e ammetto che l’incarto permette a queste caramelle provenienti da lontano (Indonesia) di mantenerlo fresco. Spesso lo zenzero caramellato che si compra a prezzi proibitivi sulle bancarelle perde velocemente la sua forza, e ancora più spesso risulta tanto dolce da smorzare l’autentico schiaffo zenzerino.
Densità:
si tratta di una caramella morbida, intensa, resistente al morso. Si appiccica facilmente ai denti. Il sapore di zenzero permane a lungo.
Voto: 8 ai ginger addict consiglio vivamente questa caramella che offre comode possibilità di trasporto intercontinentale, che permette di estraniarsi per 5 minuti dal proprio luogo e immergersi nel ricordo del mercato delle spezie, su un ferry che pendola tra Asia e Europa, nelle vie trafficata di corpi e mercanzie.
(la caramella è strambamente acquistabile su Amazon.com)

Tabula rasa (1)

Sono in soffitta, se avessi un calidor sarei nel calidor.
No, non apro scatoloni di ricordi ammuffiti,
No, non vi ho riposto ingombranti elettrodomestici inadatti alla vita da sigle dipendente da caramelle gommose,
sono in soffitta ed ascolto la pioggia rumorosa di oggi,
soprattutto il brontolino così profondo del cielo, un lamento costante che sembra arrivare dritto dall’inferno.
Stesa sul legno sporco ascolto, controluce vedo granelli di polvere muoversi.
Scrivendo granelli di polvere subito mi sale alla mente un libro, non ricordo esattamente cosa, la parte di un libro in cui con maestose parole si descrivevano le gocciole di polvere costantemente nell’aria.
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dopo 10 minuti
Ecco, l’ho trovato!
Lo cito, da Crampi di Fausta Squatriti: […] di fare posare il granello di polvere virtuale che le sfarfalla nel campo visivo sovrapponendosi ad ogni altra immagine […]
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Ascolto la pioggia, penso all’umidità, a come l’umore diventi sospeso con l’umidità nell’aria, a come la pioggia scateni voglie di intimità, a come l’acqua scorra coi pensieri.
E poi spariscono le montagne quando piove, di colpo il gelso entra nella nuvola, il monte Baldo diventa solo un ricordo, il Creino, lo Stelvio… fotografie su un hard disk.
Bello dimenticarsi delle montagne certe volte.

martedì 20 luglio 2010

Personali limbi d'incomprensione

Marionetta 1

la donna marionetta numero 1 cammina sui tacchi, tacchi altissimi,
non è molto brava nel farlo e per questo la sua camminata si deforma, e la fa apparire ridicola, come un pagliaccetto trampolista, come un aquilotto che s'impunta con le unghie.
La gamba tende a non rimanere distesa e per una questione di logica ricerca automatica d'equilibrio (il corpo anche stavolta è più intelligente della marionetta che pensa a singhiozzo) e il ginocchio si piega un pochino, entrambe le ginocchia anzi si piegano e si avvicinano.
L'effeto è chiaramente quello di polpacci e piedi instabili a paperella. Solitamente il tacco altissimo è accompagnato da una gonna corta che mostra gambe ossute (secondo logica: a completare l'equazione tacco altissimo + gonna corta implica= ragazza particolarmente magra).
L'insieme è un insulto: alla donna pensante, all'animale capace, all'uomo che si desidera e pobabilmente si crede in questo modo d'attrarre (ma forse lo si attrae davvero...?! forse per un inconscio senso di forza e superiorità che si trasmette in tempo zero... forse per un sottile senso di ribellione e sfida alle leggi naturali della fisica... devo pensarci, tratterò prossimamente).

Eccezioni: ne conosco almeno 3, bellissime, e sui tacchi sembrano sfrecciare, marciare vittoriose, danzare.

martedì 13 luglio 2010

breve Lista del 13 luglio

- da molto tempo non faccio una lista, infatti non mi ricordo più chi sono, meglio, ho dimenticato chi voglio essere.

- l’acqua e menta è deliziosa a piccole dosi, ma dev’essere freschissima, altrimenti è troppo dolce.

- oggi ho spolverato una scatola che riportava la scritta: Σαρα / Μυστικό, l’ho aperta e conteneva:

* tre quaderni pieni di liste, note, appunti, pensieri, momenti, lezioni di lingua
* una catenina con croce ortodossa che un tempo scivolò fresca tra i seni bollenti
* biglietti di siti archeologici, di treni mai persi, di autobus dondolanti dove il controllore a ogni fermata gridava: “φύγε - fighe” quando poteva partire :)

- una persona, oggi, mi ha suggerito un'impellente riflessione: “…le frasi ci si ammucchiano dentro comunque in un modo che è ancora di un'altra specie rispetto alla voce o all'inchiostro”

venerdì 9 luglio 2010

La riverenza amara.



La cosa che più le impediva di gioire di quelle attenzioni non era tanto la paura, quanto piuttosto l’impressione quasi fisica, tangibile, che quelle attenzioni non fossero vere, non fossero sincere, e che addirittura non avessero verso di lei una spinta propulsiva reale.
Accoglieva con gioia i complimenti, rispondeva cortese e curiosa ai loro inviti, alle loro lettere, ai loro impulsi. Ma tutto finiva lì. A loro, i corteggiatori, bastava corteggiare. A loro, gli innamorati, bastava adorarla. Sembravano del tutto lontani dall’avanzare piccole richieste, anni luce dalla ricerca di un bacio, figuriamoci di un coito. Bastava loro sognarla, come cavalieri nel passato. Lei stessa iniziava a chiedersi il senso di tutte queste energie soffiatele addosso a prima vista del tutto gratuitamente, a uno sguardo più attento esse stesse bisognose di continua nuova linfa. Iniziava a chiedersi se quegli uomini avessero capito che non era il personaggio di un dramma amoroso, ma una persona in carne ed ossa, si domandava guardandosi allo specchio, se i suoi lineamenti non fossero forse troppo simmetrici per invitare ai morsi, s’interrogò a lungo sul perché generasse una tale riverenza nei suoi ultimi incontri. La Riverenza è un sentimento formale, caduto ormai in prescrizione, come il profondo inchino indica un timoroso rispetto, come tutti i timori pone una distanza, come tutte le forme di rispetto indica un contorno. Destava riverenza. Il solo pensarlo la faceva arrabbiare, il solo percepirlo la faceva giocare.  

Le conseguenze di su lei erano in primis l’utilizzo di tali immobili e platonici rapporti come palliativi di un amore vero. Dobbiamo immaginarcela circondata da attenzioni che da un lato la rendono un po’ capricciosa, dall’altro non la fanno sentire mai del tutto sola. Cammina con gli sguardi dei corteggiatori dietro la schiena, ammicca a chi ha di fronte per far ingelosire quegli stessi sognatori che vivono, nel loro altrove, nella vita vera, la loro vita vera. Cammina piena di loro, e allo stesso tempo vuota di sé. Perché sostengo vuota di sé? Perché lei stessa ha l’intuizione che ci debba essere qualcosa di fangoso in queste dinamiche similmente ripetute tra persone estremamente diverse. E questo qualcosa di poco chiaro, scrive ogni tanto tra le righe di un quadernetto giallo che ha sempre con sé, si chiama malleabilità. Si rende conto di aderire inconsciamente a chi, gli innamorati, a turno, vogliono che lei sia. Si plasma a loro ideale con una naturalezza che imbarazza lei stessa, scopre già mentre la trasformazione è in atto che si sta trasformando in un qualcosa che, come l’uomo che le sta di fronte, ancora non sa di essere. Anticipa addirittura la consapevolezza del desiderio dell’eroe romantico in questione. La cosa che la sciocca di più è il percepire quest’atteggiamento passo passo, senza poterlo fermare, e senza volerlo fermare (spesso ne è addirittura sorpresa, si sfida quasi: che forma assumeranno gli occhi stavolta?) – non è lei l’artefice di quella perfetta costruzione, ne è forse la vittima, forse la vincitrice.

Che sia un inconscio desiderio d’essere desiderata? Bisogno di conferme? Fame di quegli sguardi che sembrano contenere tutta la purezza e il rispetto di cui forse ha un gran bisogno? Inizia a chiederselo, da poco a dire il vero, da quando l’ennesima persona che le ha mostrato interesse si è proprio limitata a mostrare interesse. Mostrare. Questa potrebbe quasi essere la chiave per capire queste relazioni sospese in loro stesse e senza possibilità di sviluppo.
Mostrare: far vedere, esibire – sottoporre a giudizio altrui. Evoca questi atteggiamenti di cavalleria perché manca, per lo meno a prima vista, in lei, l’umanità - il corpo. Le mancano i pruriti, le mancano i cattivi odori, le manca uno stomaco, le mancano le unghie sporche e i denti cariati. Non le mancano davvero, ma ha scoperto il proprio corpo tardi, da sé, lentamente. Ha rinnegato per tutta l’adolescenza di avere un corpo, e poi di colpo lui le si è mostrato in tutta la sua bruttezza. Così lei ha dolorosamente preso atto della sua esistenza (di quel fardello), vi ha lavorato e l’ha cambiato - con fatica, passione, amore, odio, restrizioni, sacrifici, sudore. Ed ora, che il suo corpo è così come dev’essere, così, pronto a “mostrarsi” in tutta la sua fisicità, rimane corpo. Questa è la fregatura. Ha tolto i chili di troppo, ha tolto i peli fastidiosi, ha tolto le piccole ruvidità, ha limato i calli, riparato i denti, imbellettato le unghie, massaggiato le linee dei muscoli, riparato i capelli sciupati, abbracciato un profumo ormai suo. Ha trasformato-plasmato-creato il proprio corpo secondo modelli socialmente accettabili per poterlo anche lei accettare, ma non ce la fa. Deve urinare, deve mangiare, ha la febbre, suda, ha le mestruazioni, il raffreddore, deve defecare, starnutisce, ha la congiuntivite, si scotta al sole, richiede continue cure e manutenzioni. Senza rendersene conto nega al suo corpo la corporeità - eppure si sorprende quando vede quella stessa (qui tanto desiderata) corporeità nelle relazioni, a sua volta negata. Nessuno vuole vedere il proprio ideale coi denti cariati. Ce l’ha già detto mi sembra Kieslowski nel film Blu. E nessuno è disposto a sopportare di vedere la delusione innocente negli occhi di chi gli è di fronte.

Immaginiamocela quindi, bella, cammina per la strada con addosso gli occhi degli innamorati assenti, decisa in quel suo non corpo ideale - persone si girano a guardarla, perché è bella, perché ha quella luce negli occhi, per il buonumore, perché guarda il cielo e sembra respirare a pieni polmoni - la guardano perché lei sa che la stanno guardando e recita per loro, senza cattiveria, senza inganni - sente tutti gli sguardi dei passanti su di sé, e sente gli sguardi dei suoi fan su di sé, e le sembra di essere felice, e più lo è più si trasforma in calamita per altri sguardi--- e così la ritroviamo dopo qualche metro al bar, a imbastire senza rendersene conto l’ennesimo rapporto che porta già nel bocciolo un’autentica impossibilità a fiorire. L’ennesimo innamorato le siede di fronte, e per l’ennesima volta, senza volerlo, diventa ciò che lui nemmeno sa di volere, ma proprio ciò che lui vuole. Lui la guarda, sospira e senza saperlo le giura fedeltà, e senza accorgersene s’inginocchia come facendo una riverenza e le bacia i piedi (l’unica cosa che le bacerà, perché a casa, probabilmente, il cavaliere ha una famiglia o una compagna, o una relazione di qualche tipo).


NB: i riferimenti non sono causali, ma non sono nemmeno aderenti alla realtà (la protgonista per prima) - ricordi, dubbi, passioni, amori, errori qui si mischiano facilmente.

venerdì 2 luglio 2010

gelso

A volte mi sembra, per davvero, di riconoscere questo posto come casa.
Mi sento parte del gelso, un parte profonda, un elemento naturale del paesaggio,
una mora lì lì a maturare al sole.
Mi siedo alla finestra e riconosco ciò che vedo,
riconosco le stagioni, i cieli, i profili delle montagne a volte blu a volte verdi, ogni notte neri.
Conosco l'inclinazione che lo sguardo deve avere per capire se sta piovendo,
conosco l'altezza da mantenere se sono nuda e non voglio che tutto il vicinato lo veda,
so al volo se col vento d'oggi sbatterà la finestra.
In questo preciso momento mi sembra di poter rispondere chiaramente a Bonells quando si chiede:
"cos'è il paese natale? Una singolarità sorta dall'incontro tra un luogo e un essere?"
Gli risponderei che il paese natale è quel qualcosa che appena lo si incontra rilassa senza alcun volontario controllo i muscoli;
è un istante iscritto nel corpo e non nella mente, un riconoscimento che prescinde la ragione, incontrollabile - come quando le orecchie sentono l'inizio di una canzone che ben conoscono, e si scioglie qualcosa, dentro.
Corpo e luogo, per un attimo l'uno al sicuro nell'altro-l'uno parte dell'altro.

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