giovedì 27 giugno 2013

random

Sono sempre più convinta che le Fruitjoy random siano le più buone caramelle gommose confezionate oggi facilmente reperibili in Italia. Ho già polemizzato sul curioso monopolio haribo, sul fatto che nei supermercati ci siano soprattutto caramelle gommose haribo e sempre degli stessi cinque tipi (o poco più a seconda dei supermercati) rispetto alla quantità di proposte presenti nei supermercati esteri. Ma queste fruit joy sono una sorpresa, costano un po' di più, il pacchetto è da 195 g (???) si chiamano random perché la forma e il sapore sono “causali”. Le forme disponibili sono più di ottanta, non tutte sono bellissime. Alcune caramelle sono ripiene (come le fruity bussi per capirci), altre sono tipo goldenbear ma più morbide, altre sono opache, come i maialini gelco, ma anche queste sono estremamente morbide, al contrario dei maialini, che anche appena aperto il pacchetto sono sempre un po' duretti (e basta col dar la colpa al freddo, al fatto che forse sono vecchie, alle coincidenze astrali, i maialini sono sempre più duretti di come li si vorrebbe!).
Di tutte il sapore è ben definito e fresco, soprattutto tutte sono morbidissime, morbidissime. Sul packaging c'è ogni volta una vignetta diversa, forse proposta dai consumatori, che ha per protagoniste le caramelle stesse.

Voto: 8!

martedì 25 giugno 2013

teatro

Oggi, proprio adesso, stamattina, faccio per studiare l'informatica e tutto mi butta nel teatro.
che voglia di andare a teatro, così, subito. Che voglia di sentire le voci carezzarmi nascoste e raggiungermi nel buio della sedia. che desiderio di cogliere i muscoli tesi sotto i movimenti, e le idee sotto la trama.
così, d'improvviso mi sconvolge questa voglia e mi fa tremare la pancia, che le braci ormai spente provino a farsi fuoco un'ultima volta.

lunedì 10 giugno 2013

Guerra e pace


I concerti a teatro mi piacciono, come l'opera.
L'intimità di una musica a portata di mano avvolge sempre, ingloba, ipnotizza; a volte al di là del suo valore reale.
Sono stata a vedere gli Apparat all'Auditorium di Milano. Lo spazio interno è bello, piuttosto ampio, richiama un cinema, probabilmente su due piani, noi eravamo in platea, le seggiole erano comode e ampie, l'acustica molto buona.
Nel buio la musica si è fatta fin da subito potente, penetrante, avvolgente, molto densa.
I musicisti sono scomparsi, non illuminati nonostante il loro suonare. Non vederli disorienta. Sembrano addirittura abbassarsi quando qualche fascio di luce li raggiunge, sembrano insetti.
Lo sfondo è rosso, poi nero, come sabbioso, granulare. Solo dopo capisco che il video è realizzato in diretta da un paio di persone sul palco (che si mischiano ai suonatori nascosti).



La musica si fa sempre più protagonista, e di colpo immagino un'esperienza simile ma individuale. come se fossi sono io, al centro  godere di sta cosa, anche con degli occhialini, non so, più virtuale. E me lo chiedo perché mi pare che poco importi se ci sono o no, non c'è incontro tra musicista e ascoltatore. Il musicista scompare e lo spettatore è in mezzo agli altri spettatori, senza fare senza dare, nessun movimento. Che ci sia io o xy non cambia nulla. E allora perché proporre il concerto a teatro se lo spettatore non conta?



Lo sfondo rosso porpora scende dall'alto come una superficie lunare gibbosa, attritica.
Capisco cosa non va, è lo schermo, è troppo rettangolare, troppo piccolo. Ha i confini, i limiti. la musica no. il video non sborda, non prosegue, si ferma nel video, è solo un video. sono solo due dimensioni e io le vedo tutte, e non basta. la musica va oltre, entra dentro, il video è solo lì: una larghezza un'altezza, un perimetro.



Il concerto è bello, lo sono le parti cantate lo sono le parti suonate. Forse pretenzioso proporre pezzi così lunghi da seguire stando seduti, con un video minimale. Forse pretenzioso credersi tanto potenti da nascondersi. La gente esce, rientra, ha tacchi alti e capelli alti e pantaloni a vita alta. Ha simmetria, i milanesi sono simmetrici, nei tagli, nei colori, nelle cortezze (voluto). Loro suonano nonostante il comprensibile viavai.




Poi finisce, il gruppo esce, poi rientra, dona un altro paio di bellissime canzoni. poi riesce.
mi rimetto le scarpe, grata di non essere sola nella metropoli.

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