mercoledì 23 dicembre 2015

Gli arrogantelli (e mi rammarico di non sapere il francese, il titolo sarebbe stato di certo più poetico)

Il periodo di Natale al locale è il periodo peggiore. La gente è brutta e tutta insieme a fingere di festeggiare fa pena. Le cene aziendali sono un'accozzaglia di persone senza niente in comune, se non le facce tese e delle pigne nel culo. Ieri sera cinque ragazzi mi hanno fatta arrabbiare e spero di incontrarli per strada in questi giorni, per poterli insultare. L'arroganza di certe persone è incredibile, ma ci sono abbastanza abituata e me ne frego, di solito è comunque accompagnata dall'educazione e quindi mi basta prendere le distanze.
Quando però l'arroganza sfocia nel maleducato che si deve fare?
Le cose sono andate così: locale pienissimo, entrano cinque ragazzi tra i venticinque e i trent'anni, vestiti bene e con delle facce da culo, quelle facce mezze angelicate, finte ingenue, da schiaffi per capirci. Si mettono al banco e chiedono sei, sette volte un tavolo. C'è da aspettare e alla quinta volta vorrei dirgli che possono anche andarsene se pesa loro così tanto star lì. Si libera un pezzo di tavolo ma aspettano che si liberi tutto, perché non penseremo mica che possano stringersi in quello spazietto lì?! Rimango spiazzata, e il rimanere spiazzata (insieme a un epidermico fastidio) è il sentimento che provo per tutta la sera, perché questi cinque mi sembrano brutte caricature dei loro genitori cagoni. La serata prosegue pesante e loro insopportabili fino alla fine, quando chiedono una decina di volte il giro della casa. Gli arriva il giro della casa mentre pagano il conto facendo i simpatici e chiedendo se volevo contribuire con una quota. Ho detto che non ne vedevo il motivo visto che non erano poi stati di grande compagnia. Rovesciano un amaro mentre sto sparecchiando i tavoli, sono gli ultimi nel locale e è tempo che vadano, prendo uno strofinaccio e vado per pulire (di sicuro con la faccia scocciata) il biondino con barbetta (che spero di incontrare per, non so, avere un confronto o una rivincita quando siamo pari) mi dice lascia faccio io, io dico non preoccuparti, lui capisce non puoi e mi dice: non posso? ma lavarmi le mani posso? io gli dico: ho detto non preoccuparti, n o n  p r e o c c u p a r t i, e non che non puoi, con le tue mani puoi fare quello che vuoi il bagno è dietro la libreria a destra. E da qui inizia il degenro, vengo apostrofata e presa in giro: "l'hai fatta arrabbbiare", "le serve una camomilla" e via così. Faccio un respiro profondo e cambio stanza, poco dopo se ne vanno.
Ecco, sembra una cazzata, ma io non capisco come si faccia ad avere così poco rispetto del lavoro altrui e come ci si permetta di prendere in giro chi è in una posizione in cui non si può difendere del tutto. Sono sul posto di lavoro e sto lavorando e simpatico o antipatico che sia chi ho davanti devo essere e sono gentile e professionale. Non mi sono difesa alle prese in giro perché non mi sarebbe venuta una battuta o una frase che ghiacchiasse l'atmosfera (stamattina ne ho centomila), in quel momento avrei usato dei semplici ignobili insulti, o addirittura le mani, nella mia fantasia splatter mettevo una mano sulla nuca del biondino e gli fracassavo la testa sul bancone di legno. Ma non posso, né dare del coglione frustrato così pieno si sé da farmi quasi pena perché per diventare così chissà che infanzia ha avuto, né fracassare la testa sul bancone.
Quindi mi rimane l'amarezza, e la promessa a me stessa che l'anno prossimo nel periodo di Natale non lavoro.

mercoledì 16 dicembre 2015

buonumore in aeroporto!

Stamattina son partita per tornare, assonnata e frastornata dal mattino e attutita da quel caldo degli edifici grandi quando fuori è freddo ho passato i check in, e tutti erano gioiosi, mi pareva addirittura che stessero facendo un musical. E così mi son lasciata trasportare dal buonumore, anche se una bottiglietta d'acqua costava più di tre euro.

 E poi ho cambiato autobus e treni e ho letto fumetti, aspettato trasporti per ore, sempre con la sonnolenza che pian piano si faceva stanchezza, e una sorta di nostalgia, per le cose non fatte il giorno prima.


marco polo, la via della seta, Marco Tabilio, becco giallo

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