domenica 28 aprile 2013

Blu Valentine

Dialogo tra nonna e nipote. Film strano, distante, eppure familiare.

- Come ti sei sentita quando ti sei innamorata?
- Oh cara, non credo di aver mai trovato l'amore.
- Neanche con il nonno?
- Forse un po', all'inizio. Non è che lui avesse dei riguardi nei miei confronti, come persona. Devi stare attenta. Devi stare attenta con la persona di cui t'innamori...
- Come ci si può fidare di quello che si sente, se poi quello che si sente svanisce così facilmente?
- Credo che l'unico modo per scoprirlo sia provare dei sentimenti, crederci.

venerdì 19 aprile 2013

Appunti sul pastore (testo di fretta, e provvisorio, per non dimenticarmi)

Il pastore da tre giorni bazzica con tante pecore sulla ciclabile. In questi tre giorni l'ho incontrato quattro volte, se io o lui parlassimo come le persone normali ormai saremo amici, l'ho già visto volte più di tanti amici, a dir la verità. Ma non abbiamo parlato per davvero.
Il pastore ha un cappello verde, che ha la forma di quelli che si fanno in un zic con la carta di giornale. Ha un cane che si chiama Stich (magari si scrive diversamente, ma quasi di sicuro non si scrive) che sembra un misto tra un pastore del caucaso, austriaco e olandese (giuro ho perso almeno una quindicina di muniti per cercare), e ha il pelo come rovinato, come una pecora brizzolata mal tosata eppure dignitosissima. E infine ha una pupilla slabbrata, spupillata, gocciolante; è insieme bella e brutta, sembra proprio che il puntino nero della pupilla abbia lasciato cadere da sé una gocciolina, gli occhi sono gialli e verdi, più gialli.
Il pastore è giovane e parla sempre al telefono, ha un accento che non è un accento ma un modo di parlare leggermente diverso, come in svizzera nei cantoni che parlano italiano.
Ci siamo incontrati quattro volte, passo, mi fa un cenno. Passo gli accenno un sorriso.
Prime parole, l'atroieri:
corro, mi ferma per chiedere un'informazione, forse lo guardo tra lo stranito e lo scocciato (perché non ho la prestanza per essere davvero scocciata se qualcuno mi ferma mentre corro, sono così scarsa che mi fermo persin da sola, però a volte si prende il passo e...). Coglie di sicuro lo sguardo perché esordisce: “Sono un pastore, cerco delle sigarette”, e gli spiego dov'è il tabaccaio e il gelso, la strada... poi corro e penso che ha ben chiara la propria identità, che si presenta come il pastore. Come se dicessi: “sono una redattrice cerco il bagno”.
Seconde parole, stamattina:
Sono in bici, lo vedo che fuma e cammina, Stich al suo fianco, il cappello sulla testa, fa per farmi un cenno, rallento, mi fermo, lo guardo: “sono uscite”, e lui: “tante?” e io: “è un po', da un buco nella rete”, “grazie”.
E mi sono sentita un po' pastora, e al ritorno dal lavoro l'ho rivisto, sdraiato vicino al fiume, il cappello sul naso, il solito cenno. E nel frattempo il cane teneva le pecore sul prato a fianco della ciclabile, senza reti, solo Stich, e ho pensato che almeno certi giorni vorrei essere una pastora, anche solo per godermi la maestria con cui questi cani perimetrano le pecore colla loro sola presenza.

martedì 16 aprile 2013

Goliarda e io, gli inizi

Mi sarebbe piaciuto lavorare con Goliarda. Rivedere il suo testo già così limato, e limarlo nacora, insieme. C'immagino su un balcone, di lontano vediamo il mare, e il vento acre -così come lo chiama lei tante volte- ci raggiunge ogni sera. Rileggiamo ad alta voce, pagina dopo pagina. A volte alzo un sopracciglio e le dico -qui, qui non ti sembra d'aver esagerato? E lei: forse, ma per farsi capire bisogna rompere qualche vetro, e a volte gridare dentro le case abbandonate. E allora io le risponderei che è inutile che provi a convincermi così, con un'immagine creata a tavolino, e che la sua è una scrittura che s'insinua, e da dentro s'allarga, come certi proiettili speciali e che quindi è inutile che mi proponga di tirar pietre sulle finestre, che non è il mestiere suo. E ridiamo, leggiamo e ridiamo, perché a forza di starle a fianco mi viene quasi da chiamarla figghia, e mettere i verbi alla fine della frase, perchè la rileggo in Mody, o così mi piace pensare. E immagino che l'abbia scritto volendola proprio così Modesta, lavorando sodo per renderla così com'è, prendendo il presente e raccontandolo dal passato, scegliendo una donna intelligente, umana, anche cattiva a volte, all'inizio soprattutto, ma poi facendola diventare illuminata grazie all'intelligenza e alla cultura. Una principessa siciliana che vive il proprio corpo e gioca col proprio potere senza dimenticare gli ideali importanti, un giusto e  sbagliato mai dichiarati immobili, ma sempre presenti.
-Goliarda, mettiamo un appiglio per il lettore del nord!, che vuol dire scantasti? come lo può capire. -Sara, non è che tutti devono capire tutto, se qualcuno non sa chi è crispi non capisce un sacco di riferimenti, no?
-È sì, ma diverso è non conoscere, non sapere, dal non capire, tu me lo insegni Goliarda, “perché altro è capire altro è sapere”, guarda, me lo sono scritto sul polso da tanto che mi piaceva.

lunedì 15 aprile 2013

L'altro ieri ho visto Anna Karenina, con la regia di Joe Wright e sono quasi stata male.

L'altro ieri ho visto Anna Karenina, con la regia di Joe Wright e me ne sono amaramente pentita.
Anna karenina viene malamente trasformata in una sciacquetta in calore. La profondità psicologica e morale e sensuale del migliaio di pagine di Tolstoj dimenticate. La regia per fortuna la fa da padrona, perché il personaggio lasciato nelle mani della tutta denti e sguardi lussuriosetti Keira Knightley farebbe uscire dal cinema indignati dopo dieci minuti. Eppure questa regia che la fa da padrona è supponente, troppo barocca, e troppo Tim Burton.
Il film dura uno sproposito e non dice niente, niente del tormento che prova, niente della scissione che la strappa, niente della sofferenza inaudita che le fa scegliere Vronskij e rinunciare a Serëža.
In cambio ci fa apparire santo il marito e capricciosa lei, capricciosa e isterica senza motivo.
L'ho odiato questo film, l'ho odiato e mi sembra che il regista non abbia capito niente della storia. Lo sconsiglio vivamente a chiunque abbia letto il libro e a chi non lo ha letto consiglio di guardarlo come si guarderebbe uno di quei film minchia tipo ama me non leitra trenta giorni sei mio (titoli d'invenzione) ma fatti da un regista con la voglia di sperimentare.

giovedì 4 aprile 2013

giorni

giorni di pensieri, un po' confusi un po' no.
sempre più nitido vedo il confine tra chi scrive bene e chi scrive male, al di là del mio gusto, con una sorta di oggettività. non oso rileggere nessun mio testo. soprattutto non oso scrivere nessun testo.
e poi, chiuso Ota Pavel, meraviglioso. In grado di dire un mondo con quelle parole semplici. in grado di lasciare sullo sfondo la tragedia, che c'è ed è presente, ma non diventa mai protagonista.
ed è un dono, qualcosa di bellissimo, essere capaci di non esplicitare il male quando lo si ha tra le mani, sotto gli occhi, quando di sicuro fa male.
e poi son giorni di letture sul reportage, riflessioni sul viaggio, sul vero, sull'etica, sul dire.
e poi di nuovo un testo delicato tra le mani, di nuovo l'infanzia, come con il mio amato goma. anche se qui l'infanzia è più mite, la guerra non c'è (e i bambini non "si siedono"), c'è il moderno che avanza però, e un villaggio in dono, abitante dopo abitante.
perché l'infanzia, quando nei libririesce è qualcosa di pazzesco. di potente, di incredibile.
e poi il sole e la pioggia e lettere mal scritte e lettere non scritte e distanze.
e poi dovrei ridiscutere il mio rapporto col polo dell'inaccessibilità. ma adesso sono stanca.



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