martedì 16 aprile 2013

Goliarda e io, gli inizi

Mi sarebbe piaciuto lavorare con Goliarda. Rivedere il suo testo già così limato, e limarlo nacora, insieme. C'immagino su un balcone, di lontano vediamo il mare, e il vento acre -così come lo chiama lei tante volte- ci raggiunge ogni sera. Rileggiamo ad alta voce, pagina dopo pagina. A volte alzo un sopracciglio e le dico -qui, qui non ti sembra d'aver esagerato? E lei: forse, ma per farsi capire bisogna rompere qualche vetro, e a volte gridare dentro le case abbandonate. E allora io le risponderei che è inutile che provi a convincermi così, con un'immagine creata a tavolino, e che la sua è una scrittura che s'insinua, e da dentro s'allarga, come certi proiettili speciali e che quindi è inutile che mi proponga di tirar pietre sulle finestre, che non è il mestiere suo. E ridiamo, leggiamo e ridiamo, perché a forza di starle a fianco mi viene quasi da chiamarla figghia, e mettere i verbi alla fine della frase, perchè la rileggo in Mody, o così mi piace pensare. E immagino che l'abbia scritto volendola proprio così Modesta, lavorando sodo per renderla così com'è, prendendo il presente e raccontandolo dal passato, scegliendo una donna intelligente, umana, anche cattiva a volte, all'inizio soprattutto, ma poi facendola diventare illuminata grazie all'intelligenza e alla cultura. Una principessa siciliana che vive il proprio corpo e gioca col proprio potere senza dimenticare gli ideali importanti, un giusto e  sbagliato mai dichiarati immobili, ma sempre presenti.
-Goliarda, mettiamo un appiglio per il lettore del nord!, che vuol dire scantasti? come lo può capire. -Sara, non è che tutti devono capire tutto, se qualcuno non sa chi è crispi non capisce un sacco di riferimenti, no?
-È sì, ma diverso è non conoscere, non sapere, dal non capire, tu me lo insegni Goliarda, “perché altro è capire altro è sapere”, guarda, me lo sono scritto sul polso da tanto che mi piaceva.

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