venerdì 15 luglio 2016

Il bambino tedesco

Camminavo assorta nei pensieri, alla sinistra il lago, lucente, blu, con le montagne a scendervi dentro. Tanto vento sulla passeggiata, qualche albero frondoso, laggiù in fondo una nuvola di quelle a base piatta e testa rigonfia.
Camminavo e pensavo e ripensavo a quella lettera, la lettera della fine del grande amore. Nella mia testa iniziava così: è ora di riconoscerlo, stiamo temporeggiando per viltà; né io né tu riusciamo a chiudere, e trasciniamo con dolore e poco dignità questo rapporto. Come quando in Kurkov al ladro viene tagliata una mano, ma la lama non è affilata e rimane una vena-un legamento, non ricordo, e la mano non è staccata del tutto dal corpo, penzola. Ecco, per certi versi siamo ridotti così, a penzolare. Poi il pensiero passava alle scarpe, ché ogni stagione c'è il dramma delle scarpe della stagione da comprare, e l'estate è più difficile dell'inverno, perché non voglio sandali, li odio i sandali, voglio scarpette chiuse e leggere, da poter mettere con un vestito e con cui macinare tutti i chilometri macinabili in una stagione, e pensavo che sono disposta a investire un capitale, e giro cento negozi di scarpe e nessuna va bene. E poi forse il pensiero stava trascinandosi verso Anna karenina, perché la vorrei proprio comprare nell'ultima pubblicazione di Einaudi, quando alla mia sinistra passa una bici con un padre, a seguirlo passa una bici con la madre, e poi un bambino, con tanto di caschetto, il bambino perde l'equilibrio e a rallentatore s'accascia sul proprio ginocchio, cadendo di lato ma tenendo la bici dritta con le mani, sicché pare quasi incastrato.
Questione di un attimo, un attimo lunghissimo come tutti gli attimi magici.
Vedo il bambino che cade a rallentatore e non si fa male, m'appresso verso di lui e l'unica cosa che faccio è tenere su la bici. Con la mano sinistra reggo il manubrio.
Il bambino capisce il mio intento e si scastra dalla bici.
Quando ha fatto alza il viso e quasi il suo naso tocca il mio naso, di colpo una vicinanza insolita.
Ha gli occhi azzurrissimi e lucidi, come se fosse stato sul punto di piangere ma non avesse pianto.
Ha il visetto abbronzato e delle lentiggini sul naso.
Ha uno spazio tra i denti davanti.
Con quegli occhi azzurri che quasi toccano i miei, dopo un attimo di sorpresa dice: danke.
Con il subbuglio nell'animo per quella vicinanza, il cuore che batte forte e la sensazione di piangere a mia volta, non so bene perché, dico: bitte. E vado per la mia strada.
Passo dopo passo sento il cuore che si calma, e mi pare di aver condiviso un'esperienza magica con quel bambino tedesco, mi sembra di aver cambiato la sua vita e lui la mia.
E rido di me per questo pensiero, e mi chiedo perché tutta questa emozione forte per un niente.
Anche adesso che lo scrivo, le lacrime agli occhi, colma di emozione.

mercoledì 6 luglio 2016

appunti

- Non vado quasi mai a teatro. Non ci vado perché ogni volta soffro. Quando non funziona mi arrabbio perché usurpano la bellezza di quell'arte lì. Quando funziona mi viene il magone perché l'ho accantonata, quell'arte lì, per la sopravvivenza. Non per la sussistenza, proprio per la sopravvivenza, proprio perché era faticoso e logorante stare sempre nudi nel mezzo del gruppo giudicante. Ma forse è che erano i gruppi sbagliati, o forse lo sbagliato è che erano gruppi. Comunque quest'anno sono dieci anni che l'ho abbandonato e non mi è ancora passata, e così vado poco a teatro.
L'altra sera sono andata a Pergine spettacolo aperto ed è stato bello. FÄK FEK FIK, un omaggio allo Schwab delle presidentesse. Bello e forte e ben fatto, un viaggio vorticoso verso il basso, come quelle voragini che ci sono in certi laghi o fiumi, e mi è venuto il magone, ma un magone che ne vale la pena. 

- Ho appena finito Gli anni, di Ernaux, sono colpita. 
Mi è piaciuto molto, mi è piaciuta l'idea e la costanza nel perseguirla pagina dopo pagina epoca dopo epoca. Mi è dispiaciuta la parte didascalica all'interno, perché s'è messa a spiegarci le sue intenzioni?
Sono rimasta toccata dalla sua visione d'insieme nei confronti del reale, allargare lo sguardo da una singola vita alla memoria collettiva è un'operazione preziosa, che in qualche modo, quando è così esplicità, esula dalla letteratura per farsi qualcos'altro. Ecco, forse questo mi lascia perplessa nonostante la bellezza del libro, che fatico a vederlo come letteratura.



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