giovedì 12 aprile 2012


Lui parlava e parlava e lei lo ascoltava. Seduti vicini difronte a me. Adulti, sulla soglia tra l'essere adulti e l'essere vecchi. Lui parlava di libri e lei gli carezzava il braccio destro con entrambe le mani. Lui raccontava una trama e lei gli passava la destra sulla gamba accavallata. Lei bella, capelli castani, occhi di miele, carnagione scura, unghie lucide e cortine, una borsa a bauletto. Lui capelli bianchi e voce sottovoce, vestito con pantaloni a costine verdi. Amanti, entrambi più me, di Marai. Poi frugo nella borsa e cerco un fazzoletto, e nello stesso istante anche lei, mi da la precedenza per soffiarmi il naso, come se non lo si potesse fare in contemporanea. Poi a mezza voce sorridendo: Si è proprio tutti raffreddati. -È così, dico, ché stavolta voglio parlare che Marai mi piace, che domani c'è la festa e i treno ci porta nella stessa direzione, che magari conoscete i nostri libri...

lunedì 9 aprile 2012

Tatjana, appunti sull'altrove vicino


Tatjana ha la mia età, forse un anno in più, una giovane di una trentina d'anni. È aperta e solare, parla male l'italiano. Ci incontriamo in treno, in uno di quei giorni in cui l'altrove fa irruzione in casa, nel quotidiano e soffia su braci perenni. Tatjana si siede sul gruppo di sedili della sinistra, io siedo sul gruppo a destra. È buio fuori, T. mi guarda, chiede l'ora, saranno le nove poco prima forse. Si guarda intorno, torno al mio libro.
Non ho il biglietto, esclama ad alta voce.
La guardo, testa tra le spalle: Il controllore è già passato, magari non succede niente.
Dove scendi? Chiede con voce squillante.
Pioltello rispondo, e lei: anch'io.
Si alza e si siede al mio fianco, quasi sulla mia borsa se non mi sbrigo a spostarla. Cosa vuole, mi chiedo nella testa, il treno è quasi vuoto, io sto leggendo, mi parla, mi si siede a fianco, non ha il biglietto, e tra le mani rovinate qualche sacchetto di plastica. Da qui almeno vedo se arriva, risponde un attimo dopo quasi capendo il mio silenzio. Provo a rilanciarmi nel libro, scritto da un giovane cinese nostro coetaneo, che ha nome e cognome uguali. Ne ho lette un centinaio di pagine, sono a un quarto, e ancora non so se mi piace o non mi piace, sembra descrivere le contraddizioni di una cultura che richiede ambizione e dedizione ma non lascia spazio affinché tali qualità giungano a tempo debito, le pretende; ma ci sono così tanti riferimenti a opere di cinese classico o a giochi di parole complessi che lo trovo difficile, soprattutto oggi che il treno mi porta nella triste periferia milanese, oggi che ogni tre per due mi chiedo che c...o sto facendo, se la direzione di questi anni è quella giusta, bla bla. Così metto il biglietto a segnalibro, mi appoggio quasi al vetro con la testa, guardo Tatjana e le chiedo di dov'è. Romania mi risponde, Romania dove chiedo un po' insolente, ma mi sembra che voglia parlare.
Craiova, conosci? Conosci la Romania?
Solo dai libri, rispondo, solo da certi autori, solo infanzie libere e piene di nonni, e meloni nei campi, e se non oggi domani, e fughe di famiglie, e credenze popolari.
Mi guarda strano. - Vivo nel campo, tu di dove sei?
Trento, c'è un campo a Pioltello?
Sì, vicino, adesso scendo e poi al secondo binario c'è un altro treno, una fermata e subito son al campo.
E com'è il campo, fatto di tende o con roulotte?
Ci sono tende e roulotte e case in lamiera. Adesso inizia a non essere più freddo, ma qualche settimana fa... e le braccia s'abbracciano e il collo sparisce col gesto, poi torna su. Le unghie sono corte e un po' sporche, la pelle è scura ma non troppo, ha una maglia rosa, dei jeans, scarpe da ginnastica, capelli raccolti e un po' ribelli, occhi cioccolato, lineamenti piacevoli. Ci guardiamo riflesse nel finestrino, proviamo a capire quanto manca a Pioltello, la stazione più triste del mondo. Siamo stanche. Siamo stanche e siamo donne e abbiamo una trentina d'anni e sediamo vicine nello stesso treno e ho come la sensazione che non abbiamo niente da perdere.
Sei sposata? Mi chiede.
No no rispondo quasi spaventata, e tu quando ti sei sposata?
Avevo sedici anni, ma perché tu no, sei bella, non vuoi?
No, forse non voglio, mi va bene così, però sono innamorata.
E lavori?
Sì, lavoro e studio un po'. Tu?
Io passo sul treno e lascio i biglietti e faccio l'elemosina, un giorno io un giorno mio marito. È faticoso, e poi non spendo i soldi per il biglietto e ho paura che ci sia il controllore. Oggi è tardi, di solito ritorno un po' prima, così chiamo mio fratello dal telefono degli africani.
Ah, intendi dalle stanze di computer e telefoni;
Sì, ma chiude alle nove e mezza e mi sa che non riesco. Posso chiamare dal tuo telefono?
In Romania?
Sì, ma faccio presto.
È proprio urgente?
No, non è urgente.
Se non è urgente allora preferisco di no, ho dentro solo qualche euro. Quanti anni hai? le chiedo. Trentuno, tu? Trenta. Ci sorridiamo.
Hai bambini?
Ho tre bambini, due maschi di otto e cinque anni e una bambina di tre. Tu hai bambini? Rispondo di no, mi guarda quasi triste. Ma i tuoi bambini adesso dove sono? Al campo, con mio marito, lavoriamo un giorno io un giorno lui.
E riesci a guadagnare qualcosa?
Mah, soldi mica tanti, ma a volte qualche oggetto o un po' d'elemosina, oggi una signora mi ha dato questa. E dicendolo apre una delle de borse e spunta una maglietta viola imperlinata di dubbio gusto. Un po' sorrido un po' cerco di capire se la maglietta le piace o no, e lei anche sorride e prova a capire la stessa cosa. E di colpo siamo io e Tatjana. Due coetanee che si trovano a parlare delle cose di ogni giorno, che nonostante le vite diverse del tutto tuttissimo diverse... non so, non la so finire sta frase, ma è qualcosa di forte, di strabiliante.
E i capelli, li tieni sempre corti? Mi chiede vedendomi sistemare la molletta. No, fino a qualche anno fa erano molto lunghi, poi avevo voglia di cambiare. E tu?
Io li tengo lunghi, ma qui li ho sempre legati, ché in treno e in campo si sporcano, ma in Romania li tengo sciolti. Torniamo la settimana prossima lì, per Pasqua.
Ti manca?
Mah, magari certe cose, ma lì non c'è lavoro non c'è niente.
Beh ma neanche chiedere i soldi in treno è proprio un lavoro, non riuscite né tu né tuo marito a trovare niente in giro?
No, ha guardato, ho cercato ma niente, almeno qualcosa alla fine qui c'è.
Ma i bambini vanno a scuola? In Romania sì, qui no, ma torniamo spesso in Romania.
E come tornate? In macchina, c'è un autista che paghiamo e torniamo sempre in macchina. E vorrei chiedere di più, sulle tariffe, sulle cose. Invece chiedo se secondo lei i pargoli saranno già a dormire quando arriverà. Lo sguardo si fa stanco, spero di sì risponde, sono un po' preoccupata perché Marja ieri non stava bene, per quello oggi è rimasto mio marito, così se qualcosa non va la porta dalla zia. Lascio cadere il discorso, chi sia la zia e perché lei non la possa portare dalla zia sono cose personali, immagino faccia parte delle dinamiche famigliari. Anche io ne ho di strampalate di dinamiche, e poi il treno sta ripartendo, la penultima fermata è passata, T. riprede a respirare, sorride, adesso anche se lo vediamo e mi butta giù sono arrivata, le sorrido anch'io, e mi chiedo se magari le possa dare un passaggio in macchina al campo, cosa possa regalarle di mio, a vestiti mi sa che vado peggio della maglietta perlinata. Ci spostiamo verso l'inizio del treno, siamo nei vagoni finali. Mi chiede se abbia la valigia pesante, dico no, parto precedendola, apro porte attraverso corridoi, lei dietro fa pressione per fare più veloci, al mio non riuscire ad aprire fa leva con forza, prende la mia valigia e dice: sì che è pesante, e me la toglie di mano e va avanti rapida, e apre porte e chiude porte, e a un certo punto le dico che forse siamo abbastanza avanti, e ci fermiamo. A Pioltello dove vai? Mi chiede, dormi lì? No no, è una fermata presso cui il mio compagno può venire a prendermi, per quello scendo lì, poi andiamo a casa. E a dire casa penso che va al campo. E m'immagino un fuoco e gente attorno a darle in benvenuto, non voglio pensare che stia andando al freddo mezzo all'aperto, la bambina malata. Apro la valigia e prendo una crema da viso e le do la crema profumata per la piccola Marja e l'annusa e dice mmmm. E mi ringrazia, e quasi siamo a Pioltello. E parliamo di pelle, della pelle chiara e del vento e dell'inquinamento e della pelle un po' più scura segnata dal sole. Ma Marja ha la pelle chiara e la crema andrà bene. E me la immagino Marja che la mette con le dita sporchine, sta crema profumata. E intanto la voce metallica avvisa che ci siamo, e ci avviamo alle porte e scendiamo, e parallele ci avviamo alle scalette del binario e vedo il mio compagno che aspetta e lo raggiungo e quando quasi ci siamo le dico Tatjana, è stato bello questo pezzo di viaggio, papa, noapte bună, che son parole che m'aveva insegnato prima, e sorride e mi dice, è lui? E io sì, e li presento, e poi ci salutiamo, e dico al mio compagno che quella è Tatjana, e lui mi chiede se ci siamo incontrate per caso e rispondo che sì, ci siam conosciute per caso e che vive nel campo. E saliamo in macchina e la sera è già notte e sono stanchissima ed emozionata, e ho così tanta voglia di un fuoco all'aperto, come quel giorno prima di salire al monte, quel fuoco imbastito all'ultimo con più benzina che legna, ai piedi del Nemrut.

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Al campo qualche giorno fa c'è stato un importante incendio;
mi rincuora sapere che in questa Pasqua Tatjan e famiglia sono in Romania.

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