martedì 28 settembre 2010

Flashback 1: Teufelsberg

Mit einem besonderen Gedanken an(zu?) M. :)
Sono nella torre del diavolo,
l'ho raggiunta nuotando sopra un mare d'alberi diventati coralli
è qui, all'ultimo piano
è qui, il paradiso del suono,
Si riflette il riverbero ennesimo,
si rispecchia
si ribalta
frantuma
scompone
rimbomba
amplifica
riempie
rindonda
spinge
tira
scivola
s'innalza
si contrae
accarezza i timpani - invade il cervello - crea nuova sostanza e annulla quella di cui il corpo è composto.
La materia si fa nulla, il suono si fa carne.

martedì 21 settembre 2010

lista d'inizio autunno - la stagione prediletta

- siedo sulla panchina sotto il grande albero, piante d'ulivo tutt'attorno, a prima vista secche. Mi sembra, per un istante, di poter vedere di cosa è fatta la materia, come se i miei occhi-microscopio captassero la tensione tra le particelle, nelle.

- oggi ho assaggiato rum e cola, al primo sorso l'ebbrezza è salita alla testa coi ricordi. Palazzi grandi e bianchi a stagliarsi. Giardini ordinati e sterili, la parte lungofiume con la pergola e gli immigrati a far baldoria, o forse solo a parlare. Berlino di colpo nella bocca.

- Il sole fresco si riflette sulla lamiera ramata prima di scendere, è una semplice grondaia, eppure mi sembra un pezzo di paradiso-la cosa più preziosa di oggi, in questo silenzio, in questo momento di sole in discesa alle spalle. Capisco una cosa importante: a volte il silenzio può tinger di surreale ogni cosa, ma magari servono anche gli ulivi.

- A volte ho l'impressione che anche l'acqua delle fontane di fronte alla chiese sia acqua santa.

sabato 18 settembre 2010

La plastica che ricopriva il manico della moka orgasmica – ovvero: vivere da soli parte 107

Ho una moka. La stessa da sempre, mi ha seguita in ogni stato e città che ho visitato.
È una moka che fa un suono pazzesco quando il caffè è pronto e spruzza da ogni parte il liquido prezioso. La chiamo la moka orgasmica, scherzando, e senza di lei, forse, dormirei e basta.
È una moka metallica, con la panciotta per l’acqua più larga del busto dove sgorga il caffè.
Ha un manico di metallo curvilineo che era coperto da una plastica rossa.
Questo è il punto della riflessione di oggi: la plastica che ricopriva il manico.
Ora quella plastica non c’è più. C’era, ma con il tempo e i diversi tipi di gas (forse anche spinti per accelerare l’uscita del caffè, il suono del paradiso, il profumo del mattino…) si è colata lentamente ogni mattina, e poi si è solidificata con forme curiose durante il giorno.
A me non è mai venuto in mente di toglierla, perché era parte della moka. Così, spesso, la mattina, mi scottavo un po’ le mani; mi si attaccava la plastica bollente alla pelle delle dita.
La cosa era fastidiosa, ma comunque sopportabile. Comunque non volevo cambiare moka, quindi la plastica liquida a volte si attaccava a me, altre alle presine, a volte una goccia rossa cadeva sul gas.
Un giorno è tornato P. a casa, a trovarmi. Anche lui aveva usato sempre quella moka quando vivevamo insieme, ma la moka era più mia che sua, sia per anzianità che per quantità di caffè. Ha visto l’operazione di scottatura e mi ha guardato come se di fronte a lui ci fosse la persona più idiota del mondo. Mi ha bloccata, ha detto: “Saarrraaaa!”, e con la presina ha tolto la plastica deforme e molliccia che ricopriva il flessuoso manico metallico.
Mi sono appena fatta un caffè, lo sto bevendo ora, ma mentre lo versavo, di colpo, mi è tornato in mente il momento della liberazione dalla lieve scottatura mattutina, e di colpo ho realizzato che di certo sono vittima inconsapevole e continua di una lunghissima serie di disagi quotidiani di cui nemmeno mi curo, perché leggo e penso ad altro, perché scrivo e non vedo veramente, e, almeno nelle cosa pratiche che affronto nel quotidiano sopravvivo solo grazie ai ciechi automatismi.

martedì 14 settembre 2010

Fan del fumettista

La ragazza che chiede la firma all’autore ha occhi accesi e un sorriso limpido, e ingenuo. Quando dico accesi intendo proprio proprio accesi, quasi innamorati, luminosi, scintillanti, azzurri, sferzanti. Ha il naso sottile, dritto tra gli occhi. La bocca a triangolo, denti bianchi, capelli corti, aria spigliata. Siede di fianco accavalla le gambe. La punta del destro accarezza la caviglia del sinistro, le scarpe sono basse sportive verde mare. Guarda distratta il lavoro del fumettista che lento e con cura le dedica il libro. Lo sguardo si alza dalla pagina ai baffi. Dalla linea del naso alla punta della penna, dalla mano sinistra che separa con pesantezza la copertina dalla pagina al segno dell’anello nuziale dimenticato forse sul bordo del lavandino. Occhi che indagano senza sapere che la mente analizza e trae conclusioni. L’uomo ormai vecchio tatua la stampa, mi volta le spalle, non vedo le sue labbra -ma la fan sorride, si sporge, pretende d’esser ricordata. L’amica le sta dietro, braccia un po’ incrociate, un po’ a preghiera un po’ lungo i fianchi un po’ a cercar la posizione. Braccia invadenti -l’amica retrostante. Capelli lunghi, frangetta trasversale, fossette. Fossette. Sorriso illuminato di una dolcezza genuina di fossette di bambina. Occhi truccati solo ai lati, maglietta aderente azzurrina, jeans e ballerine come da tradizione giovane donna casual. Fossette. È tutta una fossetta -per questo molto bella. Si nasconde dietro alle braccia e sbircia con le fossette. Un piccolo neo sulla guancia destra, labbra una sola linea, pelle giovane. Imbarazzata. Il fumettista ha alzato lo sguardo una fossetta l’ha forse abbagliato. Dice qualcosa, non sento. Lei arrossisce e risponde un nì con testa a penzoloni, frangetta fissa, nessuna ruga. Mano destra nervosa, mano sinistra sulla spalla dell’amica. Mano destra che stringe e che sfoglia, un fianco, un libro, un’idea. Le labbra rientrano in bocca, la faccia diventa paffuta, la fossetta sorride risoluta.

domenica 12 settembre 2010

...un po' come morire



Spedire o non spedire? A volte ci si trova davanti alla buca delle lettere come davanti a un bivio. Che si tratti di una lettera d’amore, della disdetta di una casa, di un testo per un concorso, di una cartolina nemmeno scritta – il dubbio si trasforma in esistenziale. Eravamo davanti alla scatola rossa. Due bocche: per la città e per tutte le destinazioni. Due bocche simboliche immagino, perché sono convinta che portino alla stessa pancia un po’ a dieta negli ultimi tempi. “le poste e le pompe funebri” diceva mio nonno “sono i posti sicuri, ce n’è sempre bisogno”. Sbagliava. Delle poste ormai non c’è più bisogno. Troppe incertezze. Troppo tempo. Troppa fila. Troppe variabili: una pancia arrugginita e un foglio che s’aggrappa, il soffio più forte d’un vento d’autunno e la busta che rotola nell’aria, un impiegato annoiato, un postino geloso, un vicino curioso… delle pompe funebri non so, la memoria di una persona che non ha potere di protestare agisce più della persona stessa, quindi forse… ma sto divagando. Due donne, una busta, due bocche rosse davanti. Ci guardiamo, mandiamo? Passa una donna silenziosa, ci crede straniere, ci ruba la busta, desidera insegnarci come fare, fa per sfamare. Sorridiamo, la blocchiamo, le spieghiamo. Si scusa, arranca confusa.
Tre donne, una busta, due bocche rosse che chiedono. Ché chiedono? Parole, notizie, speranze, rifiuti, decisioni, saluti, informazioni. Noi: un piccolo grappolo d’uva, la busta: baffuto pampino, la buca delle lettere: la bocca del bambino. No, non spediamo, l’uva è per il vino, e poi spedire è un po’ come morire.

mercoledì 8 settembre 2010

La Passeggiata - un testo dell'inverno


Questo testo è dedicato a Robert Walser, a cui chiedo in prestito il titolo. Mancheranno la sua eleganza quanto i suoi acuti ricami, soprattutto quasi mancherà la miniatura dell’esterno che lui tanto sapientemente sa colorare di vivo.
Sono uscita di casa frustrata l’altra notte, arrabbiata, e pronta a colpire chiunque avesse la sfortuna d’incontrarmi. Ho comprato le sigarette e nella brezza notturna ho acceso la terza sigaretta della giornata. La mia rabbia era dettata dalla solitudine, e dalla mancanza di catarsi, di divertimento leggero. A volte, qui, si vive diligentemente perché non c’è modo di sgarrare. Finita la sigaretta ero all’entrata della ciclabile, vicino al rio. Ipod nelle orecchie, cappotto chiuso, iniziava il buio e i miei passi si facevano ritmici, più veloci, anche i pensieri seguivano lo stesso aritmico flusso. A volte è la musica a pilotare le aree di pensiero, canzoni ricordano momenti, momenti riportano ad altri colori, colori ci ricordano luci, le luci rimandano ai visi, i visi alle emozioni… dobbiamo immaginare tutti questi passaggi velocissimi, il tempo d’una canzone. Quella sera avevo impostato la riproduzione casuale e così erano anche i pensieri: ramdom. E partita Carnaval, di Shumann, opera che non ricordavo nemmeno d’avere in lista. Camminando ho scorto il rio illuminato dalla luna, quasi d’argento, suggestivo, minuscolo, a distanza si scorgeva una strada vuota, in lontananza qualche lampione si faceva puntino luminoso e giallo nel nero. Le stelle invece erano bianche, così come la luna. Stavo già meglio. Ho immaginato di scrivere una lettera a Schnitzler, in questo periodo, come si nota dal titolo rubato, sto esplorando la letteratura tedesca e ne sto rimanendo abbagliata. Caro Schnitzler, già alla seconda pagina de La signorina Else’ ho riguardato la copertina per accettarmi che il tuo nome fosse maschile come ricordavo, per essere certa che fossi un uomo nonostante la tua conoscenza tanto profonda e semplice dell’animo femminile. Sì, Arthur, sei uomo, eppure mi ritrovo nei pensieri che descrivi in prima persona come se fossi donna, nelle realtà che sapientemente narri come fossero storie. A questo punto ho interrotto la lettera e sono giunta ad una profonda verità: le storie sono diverse, ma le spinte, le pulsioni, sono le stesse per tutti, in tutte le storie. Forse basta avere una profonda conoscenza di quegli impulsi per scrivere qualunque storia. Persone leggono i miei testi e vi si ritrovano, io leggo altri testi e ritrovo parti di me e della mia storia. Siamo davvero tutti tanto uguali? Spinti dalla solitudine, dalla rabbia, dal sesso, dalla lealtà, dalla colpa, dal rispetto e dall’amore? È davvero tutto qui? E questo tutto è davvero poco come sembra? Se è così possiamo tutti facilmente capirci, con un pizzico d’empatia potremmo contestualizzare ogni affermazione e accettarla mediata dai filtri che fanno di una persona quella determinata persona e non un chiunque. E questi filtri, quanto influiscono, quanti sono? Mi vengono in mente l’ambiente, la cultura, la natura, la lingua… Questa riflessione ha occupato buona parte della camminata ed ha lasciato scivolare indenni tutti i ventidue pezzi del brano per pianoforte, una canzone di Bjork e una di Kate Bush. Poi quest’ultima mi ha riportato alla mente la neve, quella piccola che cade disordinata in certi giorni senza vento, quando accendere una sigaretta diventa uno dei massimi piaceri perché l’umidità rallenta la combustione e l’odore del tabacco prevale su quello del fumo. Tutto un inverno ho ascoltato Kate con quella neve docile, mentre andavo in teatro ad attaccare adesivi con le date sulle cartoline degli spettacoli. Finite le ore di stage uscivo con la borsa carica di cartoncini ben affrancati da distribuire nei bar e nelle biblioteche, fumavo una sigaretta con le cuffie sotto il berretto e mi sentivo quasi felice. Con l’animo più tranquillo ho segnato con un movimento veloce del piede sinistro il punto d’arrivo e mi sono voltata, quasi piroettando (questa sì che è una parola alla Walser!), il ritorno era più buio dell’andata, la luna alle mie spalle sembrava addormentarsi, e anche le stelle erano di meno, e il vento sembrava più freddo.
Ho immaginato una conversazione con degli amici che non vedo da molto, ma che sento vicini. Iniziavo così: cara C, caro J, non vi conoscete, e siete entrambi distanti, con i Pink Floyd a suonare per me vi penso ora, proprio a un passo dal rio d’argento. Questa notte tutto il mondo è pigramente steso sul divano a guardare il Festival di San Remo, io cammino lenta o veloce a seconda della musica e faccio piccoli passi avanti nella comprensione del mondo. Vi ho già forse detto, anche se con parole diverse, che son certa accadano miracoli pazzeschi ogni giorno, nel mondo in cui viviamo; oggi però nego questa certezza, perché di colpo vedo limpidamente che siamo solo animali autodistruttivi, abbiamo perso qualunque tipo di contatto con la bellezza di ogni respiro, e ci lamentiamo di sputare sangue sul cemento di cui ci siamo circondati. Il rio che sembra fermo, qui al mio fianco, stanotte, è in realtà una lacrima boccheggiante che stride sul fondale, e si lacera incatenata e debole in un corso che non ha più le forze di mutare; il cielo, nero a piccoli e radi pois bianchi, è in realtà il vecchio lenzuolo che avvolge un lebbroso, e quel malato terminale, siamo noi; le vigne secche, che sembrano solo aspettare una primavera che le nutra di vino, sono in realtà   A questo punto ero vicino a un bar, e fuori c’erano quattro, forse cinque vecchi che cantavano a squarciagola, in un modo di discutibile piacevolezza, una canzone a me sconosciuta, forse erano ubriachi, o magari solo felici, perché non ho cantato a squarciagola anch’io prima, in mezzo al nulla? Ho attraversato la strada senza guardare, e affiancato un giardinetto, beandomi delle conquiste che questa passeggiata mi ha portato: “sono più tranquilla innanzitutto”, mi sono detta, “capisco che le pulsioni che spingono ogni azione sono le stesse per tutti, rifletto sull’alienazione che abbiamo raggiunto…” elencandomi le nuove consapevolezze, quasi sorridendo ripensandomi groviglio di inutili nervi quale ero poco prima, ascoltavo l’ultima canzone (Skunk Anansie), e ruf ! un cane, a un volume pazzesco ha abbaiato improvvisamente - ho gridato (davvero!), spontaneamente… un ridicolo, inedito, sorprendente AAAAAAAAA, poi ho riso di cuore per il mio stesso grido e di fronte a me ho notato un bambino che camminava lento e che aveva goduto pienamente della scena, potevo facilmente intuire voleva ridere, ma l’educazione glielo impediva e deformava un po’ il suo viso in un ghigno trattenuto. Appena dopo esserci incrociati ho sentito la risata liberarsi. Mi sono voltata e dopo un secondo ecco che il cane insonne di nuovo ha aperto le zanne e ruf ruf, e il bambino: AAAAAAA! Anche lui aveva gridato, accompagnando, con mia placida soddisfazione, l’emissione vocale a un rapido balzo spontaneo. Il bambino si è girato verso di me, ci siamo guardati camminando in avanti con le teste all’indietro quasi a sfidare le leggi del corpo umano e siamo scoppiati a ridere di gusto, ancora più forte, nel bel mezzo della notte tiranna, in un vicolo abitato da un cane nervosetto.
Casa mia era ormai a un passo, spero anche quella del bambino nottambulo, le mani erano ghiacciate e non avevo raccolto fiori perché l’inverno è il re di febbraio. Ma se li avessi raccolti li conserverei in un libro e rassicurerei l’arzigogolato Walzer: non raccogliamo fiori solo per deporli sulle nostra felicità, li rubiamo come briciole preziose per guardarli da vicino e provare, attraverso ciò che rimane della nostra vista deviata, a scoprirne la magia, e forse li conserviamo in un libro qualunque per lasciarci sorprendere da una secca primavera anche quando, d’inverno, ci vien voglia di leggere un libro dimenticato.

lunedì 6 settembre 2010

CLAUDIA RUSCH A ROVERETO

Lunedì 13 settembre alle ore 19 all'Atelier Foto Paolo Aldi a Rovereto
Claudia Rusch autrice del romanzo “La Stasi dietro il lavello” pubblicato da Keller editore sarà a Rovereto lunedì 13 settembre per presentare il proprio libro e incontrare i lettori. L'appuntamento è per le ore 19 presso l'Atelier Foto Paolo Aldi in via Rialto 47 a Rovereto. 
Seguirà brindisi.

mercoledì 1 settembre 2010

1 settembre - Lista della svolta

- gioisco sapendo che è il primo settembre, mi piace che il crepuscolo lento punti alla merenda
- camminare in mezzo al niente e senza meta è un grande libertà
- camminare veloce con labbra socchiuse per la fatica, - con labbra socchiuse ad accogliere il vento - mi fa sentire come in un video di shakira
- dovrei svuotare la valigia di xxx, sta tornando la temperatura che là mi aveva avvolta
- scoprirò lo stesso peso dei vestiti sul corpo, sono già pronta a commuovermi
- vorrei riempirmi le narici dell'odore del caffè, proprio adesso, proprio mentre ti ascolto docile



- quando avrò finito di autodistruggermi magari ne uscirà un buon libro

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