martedì 29 settembre 2015

Strangosar

L'ho sentita dopo tanto tempo oggi questa parola. Camminavo, e vicino a una vecchia lavanderia chiusa una vecchia signora parlava sul portone con un'altra signora, appena più giovane. Mentre passavo la più vecchia ha detto: Strangoso anca mi den posto come quel lì. O questo era il senso e mi son dimenticata le parole giuste, a parte quella parola lì, la chiave: strangosar.
Che parola da appuntarsi. Non trovo un corrispettivo, vuol dire: far gola, è un volere che ha dentro un po' d'invidia, e, ma forse qui azzardo, ha dentro la possibilità e il vietarsi allo stesso tempo.
Mi pare sia una parola che contiene la spinta verso e il freno a. Un freno morale prima che materiale, una possibilità che non ci si concede, un limite che si dà a se stessi, il nome che si può dare a un vizio che non ci si permette, a un'occasione a cui non ci si abbandona deliberatamente, perché c'è qualcosa, in quella occasione, in quel volere, in quel vizio, qualcosa che non sta bene, di cui è giusto privarsi.
Una tensione non allentata, un verbo che nomina quell'attimo in cui il cervello domina sulla pancia senza dirle le bugie, senza far finta di niente, una parola che prende atto del desiderio e lo imbalsama così, come desiderio.

martedì 8 settembre 2015

dall'Internazionale 1117, L.Penny, L’intolleranza è il vero pericolo per l’Europa

... forse dovremmo adottare un atteggiamento diverso. Quelli di noi che hanno la fortuna di essere
cittadini europei dovrebbero fare un bel respiro e prendere coscienza del fatto che forse, dico forse, in questo caso i nostri sentimenti non sono la cosa più importante.
Che forse, se migliaia di persone sono così disperate da rischiare la morte per raggiungere le nostre coste,
il nostro disagio per il fatto che vengano a vivere nel nostro quartiere non dovrebbe essere il fattore decisivo
nelle scelte politiche.
Da questo punto di vista la stampa di sinistra non ha meno colpe. Teoricamente, alcuni mezzi d’informazione
più compassionevoli si prendono la briga di ricordarci che i migranti in realtà “arricchiscono” la nostra cultura e costituiscono un vantaggio economico.
Il fatto che questo sia assolutamente vero non lo rende un argomento meno ofensivo.
Se i migranti vengono in occidente da paesi dilaniati dalla guerra come la Siria, l’Eritrea e l’Afghanistan
o da qualsiasi altro posto che in secoli di sfruttamento imperialistico e post-imperialistico è stato colonizzato,
occupato e poi bombardato e derubato delle sue risorse, non lo fanno per arricchire la vita degli occidentali
e ravvivare con qualche spezia la nostra insipida cucina. Vengono qui perché temono per la loro vita. Vengono a chiedere asilo, sicurezza e opportunità, e hanno tutto il diritto di farlo, se non per legge in base ai princìpi di giustizia e umanità.
La più grande minaccia al nostro “modo di vivere” non è l’immigrazione. È vero che l’immigrazione può contribuire a cambiare una società, anche se molto meno, per esempio, della tecnologia, dell’austerità economica, della disuguaglianza, della globalizzazione o del cambiamento climatico. Ma la più grande minaccia al nostro “modo di vivere”, se mai esiste qualcosa di simile in questo continente così vasto e vario, non è che un giorno io o voi potremmo trovarci su un autobus e sentir parlare pashtun o tigrino. Il vero pericolo è che iniremo per lasciarci convincere che i migranti, tutti quelli che vengono dai paesi non europei, sono meno umani di noi, pensano e sentono di meno, contano di meno.
Noi europei siamo abbastanza capaci di starcene tranquillamente immersi nell’acqua bollente dell’intolleranza ino a quando non avrà fatto evaporare tutta la compassione che ci è rimasta. Questa è la vera minaccia al nostro “modo di vivere”.

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