venerdì 30 marzo 2012

in treno fine marzo, appunti di un viaggio nello spazio tempo

È alto. Ha la carnagione scura, ha la barba non troppo lunga, ben pettinata. Porta una veste gessata che arriva fino alle ginocchia e ne sottolinea le linee asciutte, sotto pantaloni fino ai piedi completano l'abito. Ha un copricapo a cilindro, orientale. Ha le mani molto grandi, è disperato. Siede di fronte a me, scuote la testa e con la destra si tocca continuamente la fronte, il punto medio tra le sopracciglia. A Peschiera con un italiano stentato mi chiede se siamo a Desenzano. Passa il controllore, guarda il mio biglietto, si rivolge all'uomo e gli dice: “ancora qui?” con rammarico e fastidio insieme. L'uomo seduto s'aggrappa in tutta la sua altezza alle parole, vi si aggrappa con gli occhi, con le mani e con le unghie, e prova ad alzarsi oltre il pensiero, a dire un problema, a comunicare un'urgenza una necessità vitale... con quelle cento mille parole d'italiano che conosce, troppo poche. Non riesce, s'interrompe scoraggiato. E vorrei leggergli il pensiero e suggerirgli come dirlo. Il controllore allora parte in quarta: “non ho trovato la tua valigia, questo treno l'ho portato io da Milano alle 16 e venti, è persino partito in ritardo...” e l'uomo “...in ritardo” e mette sta parola nel sacco delle centoun parole. Continua il controllore “una volta arrivati a Verona ho controllato le ultime tre carrozze e ho chiesto ai pulitori di controllare pulendo il resto del treno, e non han trovato niente. E oggi anche un ragazzo ha dimenticato il giubbino, - e il nostro uomo aggiunge giubbino -  e un altro la borsa dello sport, ma insomma anche voi dovete tenervi le vostre cose, e comunque cosa centrano le ferrovie, basta che passi uno e si prenda quello che trova...” e l'uomo aggrotta le sopracciglia, e la mano sulla fronte e lo sguardo affranto, ma forse anche un po' di paura negli occhi, di averla fatta grossa, di non sapere più che fare. E il controllore parla con la signora sui sedili a sinistra, che intanto chiede cos'è successo, e che quando il controllore continua nel controllo guarda l'uomo con dolcezza, e gli dice: “deve rivolgersi alla polizia ferroviaria” e l'omone esausto la guarda e guarda a a terra e ripete “polizia”. E penso che di certo non ha capito cosa la signora intendesse dirgli, e che s trattava di un buon consiglio. E vorrei dirglielo io, spiegargli, ma mi sembra così stanco che se aggiungo una parola crolla, che quel sacco per oggi è pieno. Si alza, si siede, si alza, si siede, tocca quasi con la testa sui poggia valigia. Rallenta il treno, guardo l'uomo e gli dico: “siamo a Desenzano”, “grazie” mi risponde stanco, e la sua zeta somiglia a una esse, e spero che non ci fosse niente di tanto importante in quelle valigie.

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