Immagine di Marika Bertoni |
Ha fatto un sogno: le toglievano la lingua. Non quella
rosea, nella bocca asciutta. Le toglievano la lingua dalla testa. Rimanevano
solo concetti. Nessuna forma possibile. Suoni come latrati, come cigolii.
Simboli come macchie, come pozzanghere. E il concetto pulsava e feriva nella
testa, voleva uscire senza poterlo fare. E il concetto bucava, senza mai poter
uscire. “Ma Dio, Dio mi capisce?” pensava la vecchia nonna nel grande letto sul
tetto, all’ombra dell’ulivo secco. Occhi sbarrati, pelle sudata. Il sonnellino
pomeridiano le ha portato un incubo. Scesa in casa ha attraversato il
corridoio, si è lavata alla fonte e nella stanza della preghiera ha parlato con
Dio.
I guerriglieri lì sulle montagne proteggono una lingua, una cultura, una
famiglia. Lottano come una vita fa perchè non sanno in quale
altro modo possono lottare. Sciarpa stretta sulla testa, sulla faccia e sul
collo, pantaloni che cadono un po’, scarponi pesanti, armi inadeguate, ma pur
sempre armi. I guerriglieri qui non sono cattivi, sono figli, fratelli, mariti
delle figlie e quindi anch’essi figli, sono donne innamorate, sono vecchi
intestarditi, sono chi non ha alcuna intenzione di cancellare la propria
identità. I guerriglieri sono tanti, un tot per famiglia, tra le famiglie che
possono, che hanno cuore. I guerriglieri sono famiglia dei martiri, i
guerriglieri sono i futuri martiri forse. I bambini quindi giocano ai
guerriglieri, senza cattiveria, senza preconcetti. I bambini del kurdistan
forse sanno già tutto e ascoltano silenziosi nei letti sui tetti i discorsi dei
grandi, le parole che sfuggono dalle fessure delle porte, dai buchi dei
proiettili nei vetri. I bambini assorbono senza giudizio, sono quello che sono
accettano quello che hanno. Il loro altrove è dentro. Zara, pollice alla bocca e
sguardo distante guarda fuori, pensa. Zara mi ha mostrato i suoi disegni, di
sera. Li ha fatti con Gira la
moda. Li guardo uno a uno, mi concentro sui dettagli, sui colori, mi fingo
sorpresa. No. Sono sorpresa. Anni 13, sandali bianchi laccati sopra i calzini
marroni. Parla tre lingue. Chissà in che lingua pensa. Di certo guarda fuori e
pensa che deve andare a scuola anche il sabato, finché può soprattutto. Avrà
difficoltà ad uscire dalla Turchia, avrà difficoltà a realizzarsi in una
Turchia che danneggia i curdi, che ostacola le donne, che inonda i villaggi. Mi
ha dato tra le mani un album di disegni da guardare, si tratta di figure
femminili vestite con abiti da lei disegnati o incollati, il suo portfolio. Di
colpo ho pensato: nessuna chance di essere stilista. Nessuna. Sfogliavo pagina
per pagina il malandato quaderno, guardavo con una commozione forse immotivata
forse del tutto fisiologica quella bambina-ragazza. Quella futura madre di
famiglia, se tutto va bene. A volte tutto va bene. Alla madre di Zara, koçer illuminata tutto va
bene. Mai tanta serenità e allegria ho visto in una persona. Mai tanto calore
ho provato al primo sguardo. Con l’ipad nelle orecchie, libri nelle valigie e
amati nel mondo ho invidiato la gioia della giovane già madre che curva lavava
i piatti sul pavimento. Ho invidiato sorpresa il suo viso disteso, il suo
credere in Dio, la sua fiducia nel suo uomo. È la donna più felice del mondo,
ho pensato, e ho bevuto un altro sorso di tè.
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