domenica 4 dicembre 2011

La fine del mondo (rilettura di un'immagine di viaggio)

Immagine di Marika Bertoni


Ha fatto un sogno: le toglievano la lingua. Non quella rosea, nella bocca asciutta. Le toglievano la lingua dalla testa. Rimanevano solo concetti. Nessuna forma possibile. Suoni come latrati, come cigolii. Simboli come macchie, come pozzanghere. E il concetto pulsava e feriva nella testa, voleva uscire senza poterlo fare. E il concetto bucava, senza mai poter uscire. “Ma Dio, Dio mi capisce?” pensava la vecchia nonna nel grande letto sul tetto, all’ombra dell’ulivo secco. Occhi sbarrati, pelle sudata. Il sonnellino pomeridiano le ha portato un incubo. Scesa in casa ha attraversato il corridoio, si è lavata alla fonte e nella stanza della preghiera ha parlato con Dio.
I guerriglieri lì sulle montagne proteggono una lingua, una cultura, una famiglia. Lottano come una vita fa perchè non sanno in quale altro modo possono lottare. Sciarpa stretta sulla testa, sulla faccia e sul collo, pantaloni che cadono un po’, scarponi pesanti, armi inadeguate, ma pur sempre armi. I guerriglieri qui non sono cattivi, sono figli, fratelli, mariti delle figlie e quindi anch’essi figli, sono donne innamorate, sono vecchi intestarditi, sono chi non ha alcuna intenzione di cancellare la propria identità. I guerriglieri sono tanti, un tot per famiglia, tra le famiglie che possono, che hanno cuore. I guerriglieri sono famiglia dei martiri, i guerriglieri sono i futuri martiri forse. I bambini quindi giocano ai guerriglieri, senza cattiveria, senza preconcetti. I bambini del kurdistan forse sanno già tutto e ascoltano silenziosi nei letti sui tetti i discorsi dei grandi, le parole che sfuggono dalle fessure delle porte, dai buchi dei proiettili nei vetri. I bambini assorbono senza giudizio, sono quello che sono accettano quello che hanno. Il loro altrove è dentro. Zara, pollice alla bocca e sguardo distante guarda fuori, pensa. Zara mi ha mostrato i suoi disegni, di sera. Li ha fatti con Gira la moda. Li guardo uno a uno, mi concentro sui dettagli, sui colori, mi fingo sorpresa. No. Sono sorpresa. Anni 13, sandali bianchi laccati sopra i calzini marroni. Parla tre lingue. Chissà in che lingua pensa. Di certo guarda fuori e pensa che deve andare a scuola anche il sabato, finché può soprattutto. Avrà difficoltà ad uscire dalla Turchia, avrà difficoltà a realizzarsi in una Turchia che danneggia i curdi, che ostacola le donne, che inonda i villaggi. Mi ha dato tra le mani un album di disegni da guardare, si tratta di figure femminili vestite con abiti da lei disegnati o incollati, il suo portfolio. Di colpo ho pensato: nessuna chance di essere stilista. Nessuna. Sfogliavo pagina per pagina il malandato quaderno, guardavo con una commozione forse immotivata forse del tutto fisiologica quella bambina-ragazza. Quella futura madre di famiglia, se tutto va bene. A volte tutto va bene. Alla madre di Zara, koçer illuminata tutto va bene. Mai tanta serenità e allegria ho visto in una persona. Mai tanto calore ho provato al primo sguardo. Con l’ipad nelle orecchie, libri nelle valigie e amati nel mondo ho invidiato la gioia della giovane già madre che curva lavava i piatti sul pavimento. Ho invidiato sorpresa il suo viso disteso, il suo credere in Dio, la sua fiducia nel suo uomo. È la donna più felice del mondo, ho pensato, e ho bevuto un altro sorso di tè.

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