domenica 20 novembre 2011

io e Tempesta


Io e il bambino siamo sulla spiaggia, spingo il passeggino nell’acqua, ma non nella parte profonda.
Il passeggino è un carrellino, come quello per trasportare i libri.
Io e il bambino non parliamo con la voce, abbiamo una sorta di linguaggio segreto, nella mente.
Il bambino mi è stato affidato. È arrivato come un pacco, con una lettera.
Nel mare nuota un po’, anch’io. Il tempo è brutto ma non è freddo.
Poi dobbiamo rientrare. Mi guardo attorno non lo vedo. 
Lo chiamo con la mente, sbuca da sotto un’onda e mi raggiunge. 
Il bambino forse somiglia a Tempesta, un bambino che conobbi tempo fa, nelle pieghe della Mesopotamia. Sbuca da sotto un’onda e mi raggiunge. 
Sale sul carrellino e insieme c’avviamo a casa. 
La strada è molto trafficata, e di macchine e di persone. 
I semafori scattano veloci, l’omino verde salta in rosso quando siamo a metà corsia. 
Acellero per passare, una macchina bianca suona il clacson arrabbiata. 
Io e il bambino alziamo le spalle. 
E con la mente ci diciamo: Sì. 
E così iniziamo a correre, tra le persone, tra i semafori, e io mi aggrappo al carrellino passeggino come fosse uno skate. E ridiamo, io e tempesta ridiamo di cuore. E al nostro fianco un ragazzo ci guarda, e corre, e inizia una finta gara, di colpo su corso Rosmini, quasi a raggiungere il Mart.

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