Io e il bambino siamo sulla spiaggia, spingo il passeggino
nell’acqua, ma non nella parte profonda.
Il passeggino è un carrellino, come quello per trasportare i
libri.
Io e il bambino non parliamo con la voce, abbiamo una sorta
di linguaggio segreto, nella mente.
Il bambino mi è stato affidato. È arrivato come un pacco,
con una lettera.
Nel mare nuota un po’, anch’io. Il tempo è brutto ma non è
freddo.
Poi dobbiamo rientrare. Mi guardo attorno non lo vedo.
Lo chiamo
con la mente, sbuca da sotto un’onda e mi raggiunge.
Il bambino forse somiglia
a Tempesta, un bambino che conobbi tempo fa, nelle pieghe della Mesopotamia. Sbuca
da sotto un’onda e mi raggiunge.
Sale sul carrellino e insieme c’avviamo a
casa.
La strada è molto trafficata, e di macchine e di persone.
I semafori
scattano veloci, l’omino verde salta in rosso quando siamo a metà corsia.
Acellero
per passare, una macchina bianca suona il clacson arrabbiata.
Io e il bambino
alziamo le spalle.
E con la mente ci diciamo: Sì.
E così iniziamo a correre,
tra le persone, tra i semafori, e io mi aggrappo al carrellino passeggino come
fosse uno skate. E ridiamo, io e tempesta ridiamo di cuore. E al nostro fianco
un ragazzo ci guarda, e corre, e inizia una finta gara, di colpo su corso
Rosmini, quasi a raggiungere il Mart.
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