lunedì 5 dicembre 2011

La ragazza straniera


A volte mi chiedo se ci vedremo invecchiare. Tremo alla sola idea. Tutta una vita in un posto. Tutta una vita incrociarsi senza mai scambiarsi una parola. Senza sapere i reciproci nomi. Vedere proiettati su lei istanti che avrebbero potuto essere in parallelo, miei.
Parlo della ragazza straniera.
Quando sono rientrata qui, dopo svariati anni distante, sono giunta con il mio compagno, che allora era un ragazzo dell’est. Ci siamo stabiliti, senza troppa convinzione, nel vecchio appartamento di famiglia, l’affitto era al limite delle nostre limitate possibilità e l’appartamento era libero da subito. Io stavo lavorando alla tesi, e davo ripetizioni a studentelli, il mio compagno lavorava in una fabbrica e rientrava solo la sera. Le mie giornate erano lunghe, a volte buone, quando potevo lavorare, a volte frustranti, quando non mi riusciva di scrivere e non avevo studenti. Non avevo una macchina e per questo per ogni spostamento prendevo l’autobus. C’è una fermata non molto distante da casa, qualche minuto a piedi, è lì che l’ho vista la prima volta. È lì che anche ora la vedo spesso. È lì che ci siamo guardate interrogative, nessuna ha aperto bocca. Credo sembrassimo sorelle. Di certo entrambe sembravamo ragazze dell’est. Capelli lunghissimi e biondi, entrambe viso tondo, bianche bianche, occhi chiari, sorriso con fossette. Stile diverso nel vestire, questo sì. Ricordo che indossava jeans attillatissimi, un maglioncino di lanetta a righe orizzontali, lungo appena fino all’ombelico, ballerine marroni. Colpiva subito. Ricordo anche di essermi guardata intorno quella volta e d’essermi chiesta se le persone facessero paragoni tra noi, vista la somiglianza. Aveva un difetto nei denti, non saprei descriverlo, un difettuccio, di quelli che fanno sorridere in modo mite e candido. Di quelli che non penalizzano ma addolciscono.
Dicevo che lì l’ho vista la prima volta. Viviamo nella stessa via, nonostante questo non ho idea della casa in cui lei abiti. So che ha avuto un bambino, o una bambina, ma questo già un paio d’anni fa. Ancora mi ricordo, almeno sei sette mesi dopo il primo incontro l’ho vista con la grande pancia. M’è preso un colpo. Ha un bambino mi sono detta. E tu? E io no, anzi siamo un po’ in crisi col mio compagno dell’est, e comunque bambini anche no. E poi un giorno li ho visti passeggiare insieme, e spingere il passeggino, e avevano quell’aria felice che hanno i genitori stranieri, perchè i genitori italiani hanno sempre l’aria di non divertirsi, quando hanno un bambino, ogni volta che li vedo lei ha lo sguardo tirato (e io giuro che prego spesso il Dio finestra che figli o non figli non mi dia mai lo stesso sguardo cattivo che hanno certe madri a dieta di cibo e di sonno e di sigarette e di vino bianco [...] dopo il parto), e lui ha lo sguardo vittima che non vorrebbe essere dov'è. Beh, il loro sguardo era diverso, tipo “guarda il mondo Misa”, tipo “dai andiamo a sederci al sole che ho la termos e beviamo qualcosa di caldo”. Belli insomma. Anche se lui non lo ricordo neanche un po’. E poi la vedo ogni tanto fare la spesa, scende con le borse, direttamente dal centro commerciale. È una di quelle ragazze che portano le giacchettine in camoscio corte alla vita. E gli stivaletti mezzo tacco. E quando è inverno hanno la coda alta, e forse non l’ho mai vista ma la immagino bene anche con una fascia, negli inverni freddi che le sembreranno miti. Io nel frattempo ho tagliato i capelli e comprato una macchina, e il mio compagno dell’est è di nuovo all’est. E ho cambiato lavori e ho finito la tesi e riinizio presto una tesi. E lei mi vede correre, a volte la mattina, perchè prende l’autobus quando passo per immettermi nella ciclabile e lì correre una mezzoretta. L’ho vista anche stamattina, che per un disguido non avevo la macchina. Abbiamo aspettato in silenzio l’autobus, come quella volta, e come quella volta siamo salite. Però oggi ero sicura, nessuno ci ha scambiate per sorelle.

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