Corso Buenos Aires era fredda. Eppure era bella, ampia, le
macchine sfrecciavano, le macchine erano più rassicuranti delle donne
impellicciate di corso Napoleone. Cercavamo un caffè dove decidere, dove
sederci e appoggiare a uno schienale le schiene stanche dall’asfalto, le menti
stanche dalle contraddizioni della realtà, di colpo palesate con violenza sotto
gli occhi, di colpo scagliate contro il corpo come grandi borse cartonate piene
di regali. Il periodo di natale è veleno. Milano a natale è veleno. Cercavamo il
caffè e abbiamo trovato un caffè dove tutti bevevano tè. E poi ho deciso quello
che era da decidere, e allora la pancia si è rilassata. E mentre uscivamo la
signora filippina senza età mi è parsa la persona più gioiosa, gli auguri
ripetuti quella volta in più, il sorriso anche quel secondo dopo. Durata d’improvviso
come testimone di verità. Come simboli fuori di un dentro. Siamo usciti e di
colpo il dover decidere che fare era sparito, il peso della scelta aveva ceduto
alla pigrizia, al desiderio nascosto. E si camminava, e ora c’era tempo e la
notte poteva anche durare mille anni. Avevo scelto e potevo sballare gli
orologi. E c’era un negozio di borse di cuoio e di fronte uno di prodotti i
bellezza, e all’angolo la città del sole, e anche se era domenica il macellaio
era aperto e addobbato come un gioielliere, e vicino al macellaio boa di
struzzo rosa, e rossi, e blu, e neri. Cascate di piume, e maschere, e colori
cotonati a far da tenda, a sbarrare l’entrata, come nella caverna magica. Ci pieghiamo
e sbirciamo ed entriamo. Gli occhi s’allargano, perchè tutto non ci sta, dentro
agli occhi. Costumi per lo più, e una disco ball gigante, e vetrinette di
vestiti gioiello, e piume. E un signore con un cappello, e la cadenza di chi
interpreta volentieri un ruolo. La voce di chi guarda dall’alto, di chi non si
può scalfire. Tre due uno, bla bla, che meraviglia, ti piace è, sì. Poi usciamo,
perchè è stretto e fitto, e il signore occupa il suo spazio e è come se
parlasse dall’alto, come se si aspettasse qualcosa, e io ho paura delle
aspettative delle persone, anche se sono piccole, anche se sono simboli. Ma mentre
pieghiamo la testa e tra i manti cerchiamo la via ecco che dall’alto la voce
sicura e di colpo gentile esclama senza ironia: buon viaggio! E corso B.A. diventa
solo BA, e almeno per me finalmente sparisce il natale e comincia il viaggio.
Circondata dalle rappresentazioni, dalle narrazioni. Provo a interpretare, a leggere il mondo. Cerco brandelli di realtà, poi rinuncio, poi capisco; e senza pretese m'immergo nello scambio.
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