lunedì 26 settembre 2011

En passant (appunti di viaggio)


Pantaloni grigio-verdi a vita alta-altissima, cintura sottile, nera, la fibbia nascosta da un rimbalzo di pancia. Camicia a righe gracili bianche e blu, capelli grigi, orecchie grandi (qualcuno m’ha insegnato che le orecchie non smettono mai di crescere). Non vedo il viso, mi volta le spalle, ma gli vedo le dita.
La mano resta sospesa a mezz’aria, sotto, in piedi, la regina nera nel fazzoletto bianco, qualche pedone, una torre marrone chiaro. Pollice e indice quasi a toccarsi, sorvolano la scacchiera, ondeggiano incerti tra la regina e il cavallo, poi la mano s’abbassa.
La regina di un passo si sposta in diagonale.
Suona il telefono, e una e due e tre volte.
Si alza dalla panchina, si scusa:
- sì va bene, ma possiamo vederci dopo? Adesso sono proprio occupato. Sì sì domani va bene, anzi è meglio, è meglio se parliamo domani.
Si gira verso di me, ha baffi bianchi come quelli di Walesa, le sopracciglia folte e spettinate. Si siede nella stessa posizione di prima, sporto in avanti.

È un pomeriggio assolato, la Vistola rumoreggia. Si crea un cerchio attorno al tavolo, si fermano persone a guardar la partita, solo uomini. Capotavola 1: maglia gialla, occhiali dalle lenti gialle, e dalla catenina anticaduta, pantaloni marroni, sandali e calzini; la testa appoggiata ai palmi delle mani. Capotavola 2: uomo senza età, dai venti ai cinquanta, aria trasandata, zaino spesso sulle spalle, maglietta macchiata, sgualcita, occhiali dalla montatura sottile, naso affilato, figura minuta, scarpe in pelle con suola rasoterra. Vicino ai giocatori altri due uomini di mezza età che dimostrano almeno dieci anni in più, capelli brizzolati, corpo in sovrappeso, sguardo concentrato. Il tavolo è avvolto nel silenzio.

Col pugno si regge la testa l’antagonista. Ha il viso sottile, rughe sul mento, sulle guance, sulla fronte, sugli occhi, le abbra anch’esse una linea, l’ennesima piega.
Guarda stupito la mossa, rapido replica, sorride. Scuote la testa, che sia meraviglia?

Tutto si ferma, otto persone guardano fisse il quadrato dei quadrati fatto di marmo. Guardano in silenzio, mi sembra di vedere i loro occhi che spostano le poche pedine rimaste, che ripassano mosse. È evidente che gli scacchi sono una sfida tra i se stessi, prima che con l’avversario.
Attorno tutto si muove. Ibernato solo il tavolo degli scacchi.
Passano macchine coppie bambini tram barche, volano uccelli e aerei e una mongolfiera, là in fondo, rotolano palle cadono borse fremono di brezza leggera gli scialli.
I due giocatori, gli osservatori, spostano pedine col pensiero.
Scorre la torre bianca, avanza il pedone nero, l’alfiere sfianca il cavallo, la regina mangia l’alfiere, il pedone spodesta la regina, No!, daccapo.
Scorre la torre bianca, cavalca il cavallo nero e calpesta il pedone, scappa la regina s’avvicina al re, ma ecco l’alfiere che punta, No, ancora no, daccapo.
Scorre la torre bianca, scivola...
Come se ogni partita di scacchi contro un avversario ne contenesse cento, silenziose, con se stessi.

Ecco, il baffo ha mosso. La ruga risponde rapida, aveva previsto. Di nuovo la mano sospesa a mezz’aria, il polso piegato inclinato abbandonato come un braccio che pesca orologi nella grande scatola del lunapark.

La luce si riflette sui pezzi più chiari, i morti che giacciono fuori dal campo.
Gli occhi scorrono veloci, precisi, calcolano e ricalcolano. Di nuovo la mano sorregge il viso sulla guancia destra, e di nuovo il baffo di spalle aspetta prima di muovere, e un altro uomo dall’alto di ferma a sbirciare, anche lui a giocare. Il pedone nero quasi raggiunge il bordo avversario, labbra sottili alza gli occhi dalla scacchiera, sono azzurri come l’est, le sopracciglia si moltiplicano sulla fronte. Anche il baffo per un attimo alza la testa e si guarda attorno, l’orecchio arrossato dal sole, la ventiquattrore sciupata sulla destra, la giacca accasciata sulla sinistra.
Inizio a chiedermi se mai questa partita finirà. Suona l’orologio del castello. Nessuno lo sente. La mano pinza che sembra impiccata sfiora la corona, poi s’innalza ancora, muove il pedone. Viso rugoso affilato fa un lungo sì con lo sguardo, accenna a un sorriso. Ha visto. Fa la sua mossa e incrocia le braccia.
(punti importanti: tutto si muove attorno, i giocatori sono congelati - immobili; ogni oartita contiene centinaia di partite giocate con se stessi)

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