Nella corsa, prima, m'è venuto in
mente che quando ero bambina, e forse per tanti anni, a casa, in
soggiorno, c'è sempre stata una pedana con le piante sopra. Una
sorta di podio quadrato a due o forse tre gradini, in legno, color
rovere, con sopra le piante delle casa: fiori, tronchetti della
felicità, edere arrampicate su altre piante, ficus benjamino, forse
una palmetta, una kentia gigante, un pothos rampicante anche quello,
spatifilli almeno due, una sansevieria, un antiurica. Una macchia
verde dritta in fondo al corridoio, tra due finestre. Ci ho pensato
con nostalgia, ho ricordato la mamma e il papà giovani, a scegliere
piante anziché mobili. Forse l'edera era appesa al soffitto e
scendeva libera, adesso che ci penso, o magari è così adesso e mi
confondo. La pedana l'aveva costruita il papà, quando hanno cambiato
i mobili la pedana è scivolata fuori casa, prima è stata sul mio
terrazzo credo, poi è finita nell'ufficio della mamma. Anche lì era
bellissima, vicino alla porta finestra, alle spalle della scrivania,
con qualche pianta e tanti plichi di scartoffie. Lì mi piaceva anche
più che a casa, sarà che mi sono sempre piaciuti i tavoli pieni di
fogli e foglie. Chissà che fine ha fatto la pedana.
Circondata dalle rappresentazioni, dalle narrazioni. Provo a interpretare, a leggere il mondo. Cerco brandelli di realtà, poi rinuncio, poi capisco; e senza pretese m'immergo nello scambio.
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