venerdì 9 luglio 2010

La riverenza amara.



La cosa che più le impediva di gioire di quelle attenzioni non era tanto la paura, quanto piuttosto l’impressione quasi fisica, tangibile, che quelle attenzioni non fossero vere, non fossero sincere, e che addirittura non avessero verso di lei una spinta propulsiva reale.
Accoglieva con gioia i complimenti, rispondeva cortese e curiosa ai loro inviti, alle loro lettere, ai loro impulsi. Ma tutto finiva lì. A loro, i corteggiatori, bastava corteggiare. A loro, gli innamorati, bastava adorarla. Sembravano del tutto lontani dall’avanzare piccole richieste, anni luce dalla ricerca di un bacio, figuriamoci di un coito. Bastava loro sognarla, come cavalieri nel passato. Lei stessa iniziava a chiedersi il senso di tutte queste energie soffiatele addosso a prima vista del tutto gratuitamente, a uno sguardo più attento esse stesse bisognose di continua nuova linfa. Iniziava a chiedersi se quegli uomini avessero capito che non era il personaggio di un dramma amoroso, ma una persona in carne ed ossa, si domandava guardandosi allo specchio, se i suoi lineamenti non fossero forse troppo simmetrici per invitare ai morsi, s’interrogò a lungo sul perché generasse una tale riverenza nei suoi ultimi incontri. La Riverenza è un sentimento formale, caduto ormai in prescrizione, come il profondo inchino indica un timoroso rispetto, come tutti i timori pone una distanza, come tutte le forme di rispetto indica un contorno. Destava riverenza. Il solo pensarlo la faceva arrabbiare, il solo percepirlo la faceva giocare.  

Le conseguenze di su lei erano in primis l’utilizzo di tali immobili e platonici rapporti come palliativi di un amore vero. Dobbiamo immaginarcela circondata da attenzioni che da un lato la rendono un po’ capricciosa, dall’altro non la fanno sentire mai del tutto sola. Cammina con gli sguardi dei corteggiatori dietro la schiena, ammicca a chi ha di fronte per far ingelosire quegli stessi sognatori che vivono, nel loro altrove, nella vita vera, la loro vita vera. Cammina piena di loro, e allo stesso tempo vuota di sé. Perché sostengo vuota di sé? Perché lei stessa ha l’intuizione che ci debba essere qualcosa di fangoso in queste dinamiche similmente ripetute tra persone estremamente diverse. E questo qualcosa di poco chiaro, scrive ogni tanto tra le righe di un quadernetto giallo che ha sempre con sé, si chiama malleabilità. Si rende conto di aderire inconsciamente a chi, gli innamorati, a turno, vogliono che lei sia. Si plasma a loro ideale con una naturalezza che imbarazza lei stessa, scopre già mentre la trasformazione è in atto che si sta trasformando in un qualcosa che, come l’uomo che le sta di fronte, ancora non sa di essere. Anticipa addirittura la consapevolezza del desiderio dell’eroe romantico in questione. La cosa che la sciocca di più è il percepire quest’atteggiamento passo passo, senza poterlo fermare, e senza volerlo fermare (spesso ne è addirittura sorpresa, si sfida quasi: che forma assumeranno gli occhi stavolta?) – non è lei l’artefice di quella perfetta costruzione, ne è forse la vittima, forse la vincitrice.

Che sia un inconscio desiderio d’essere desiderata? Bisogno di conferme? Fame di quegli sguardi che sembrano contenere tutta la purezza e il rispetto di cui forse ha un gran bisogno? Inizia a chiederselo, da poco a dire il vero, da quando l’ennesima persona che le ha mostrato interesse si è proprio limitata a mostrare interesse. Mostrare. Questa potrebbe quasi essere la chiave per capire queste relazioni sospese in loro stesse e senza possibilità di sviluppo.
Mostrare: far vedere, esibire – sottoporre a giudizio altrui. Evoca questi atteggiamenti di cavalleria perché manca, per lo meno a prima vista, in lei, l’umanità - il corpo. Le mancano i pruriti, le mancano i cattivi odori, le manca uno stomaco, le mancano le unghie sporche e i denti cariati. Non le mancano davvero, ma ha scoperto il proprio corpo tardi, da sé, lentamente. Ha rinnegato per tutta l’adolescenza di avere un corpo, e poi di colpo lui le si è mostrato in tutta la sua bruttezza. Così lei ha dolorosamente preso atto della sua esistenza (di quel fardello), vi ha lavorato e l’ha cambiato - con fatica, passione, amore, odio, restrizioni, sacrifici, sudore. Ed ora, che il suo corpo è così come dev’essere, così, pronto a “mostrarsi” in tutta la sua fisicità, rimane corpo. Questa è la fregatura. Ha tolto i chili di troppo, ha tolto i peli fastidiosi, ha tolto le piccole ruvidità, ha limato i calli, riparato i denti, imbellettato le unghie, massaggiato le linee dei muscoli, riparato i capelli sciupati, abbracciato un profumo ormai suo. Ha trasformato-plasmato-creato il proprio corpo secondo modelli socialmente accettabili per poterlo anche lei accettare, ma non ce la fa. Deve urinare, deve mangiare, ha la febbre, suda, ha le mestruazioni, il raffreddore, deve defecare, starnutisce, ha la congiuntivite, si scotta al sole, richiede continue cure e manutenzioni. Senza rendersene conto nega al suo corpo la corporeità - eppure si sorprende quando vede quella stessa (qui tanto desiderata) corporeità nelle relazioni, a sua volta negata. Nessuno vuole vedere il proprio ideale coi denti cariati. Ce l’ha già detto mi sembra Kieslowski nel film Blu. E nessuno è disposto a sopportare di vedere la delusione innocente negli occhi di chi gli è di fronte.

Immaginiamocela quindi, bella, cammina per la strada con addosso gli occhi degli innamorati assenti, decisa in quel suo non corpo ideale - persone si girano a guardarla, perché è bella, perché ha quella luce negli occhi, per il buonumore, perché guarda il cielo e sembra respirare a pieni polmoni - la guardano perché lei sa che la stanno guardando e recita per loro, senza cattiveria, senza inganni - sente tutti gli sguardi dei passanti su di sé, e sente gli sguardi dei suoi fan su di sé, e le sembra di essere felice, e più lo è più si trasforma in calamita per altri sguardi--- e così la ritroviamo dopo qualche metro al bar, a imbastire senza rendersene conto l’ennesimo rapporto che porta già nel bocciolo un’autentica impossibilità a fiorire. L’ennesimo innamorato le siede di fronte, e per l’ennesima volta, senza volerlo, diventa ciò che lui nemmeno sa di volere, ma proprio ciò che lui vuole. Lui la guarda, sospira e senza saperlo le giura fedeltà, e senza accorgersene s’inginocchia come facendo una riverenza e le bacia i piedi (l’unica cosa che le bacerà, perché a casa, probabilmente, il cavaliere ha una famiglia o una compagna, o una relazione di qualche tipo).


NB: i riferimenti non sono causali, ma non sono nemmeno aderenti alla realtà (la protgonista per prima) - ricordi, dubbi, passioni, amori, errori qui si mischiano facilmente.

3 commenti:

marco ha detto...

Arrivato ad un certo punto ho pensato a Film Blu. Poi tre righe sotto ho visto che lo citavi...
Bello.

Sugar Mais ha detto...

Suona nuovo e davvero strano per un orso come me il racconto di una vita dove tutti sembrano bramarti.
In effetti è il racconto di una donna.
C'è anche l'altra parte, quella non interessata solo alla fisicità.
Buona scoperta.

sara ha detto...

La protagonista è inventata, ingigantita, deformata.
Dichiaro sinceramente di non riconoscermi nella protagonista.

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