domenica 10 giugno 2012

Il momento giusto

Parte il muezzin, le acque del Tigri cambiano colore a ogni cambio di luce, nel giorno sono marroni o verdi, al crepuscolo sono glauche come gli occhi dei saggi, la notte sono nere e sembrano feroci.
Parte il muezzin ma è giorno, le acque sono chiare e fresche, si è fatto un picnic sulle sponde, una coperta, bottiglie d'acqua per fare il cai bollendola su un falò, qualche pomodoro e cetriolo, un po' di carne del giorno prima. stendiamo la coperta sulla sabbietta, sotto un gelso di more dolcissime, cadenti e fin troppo mature. Il bambino va a pesca di granchi, chi gioca con l'acqua, chi prepara il tè sotto la calura, chi legge o chiacchiera. I vicini di albero ci donano una pentola di bulgur, qui funziona così, sorprendentemente, si condivide il cibo con tutti. ricambiamo con delle prugne verdi e acide, erik.
Mangiamo, fumiamo, riposiamo. Poi, all'improvviso Lui ci saluta, sta partendo. Il sole è a metà nel cielo, sembra un pomeriggio come un altro, sembra che niente debba finire e lui parte dal bambinuzzo pescatore e uno a uno ci saluta. Era qui da due giorni, un qui discutibile, perché l'amore doveva esser già finito qualche mese fa, ma anche lei era felice che fosse qui, per chiarire e parlare ancora, per essere vicini e salutarsi...
Ci saluta e vien da piangere anche me, ché è una persona bella, ché leggo negli occhi cose buone, ché indirettamente è parte della mia vita già da qualche anno.
Lui è sul ponte, in alto, sopra il Tigri che veloce spinge a sud; lei è sotto, a bordo del fiume. Piangono entrambi, soprattutto dentro, ma un po' anche fuori, si mordono il labbro, rughe sul mento. Si struggono perché finisce un amore, proprio adesso. Si pone l'etichetta fine. Provano un sentimento amplificato, di un amore che c'è ma non può compiersi, perché non è tempo, diranno tra sé e sé.
Lui guarda giù, la maglia a righe verdi e nere, un po' di pancetta nonostante l'età giovane; ha la pelle scura, gli occhi cioccolato, le sopracciglia che quasi si uniscono, lo sguardo buono; fa un cenno di saluto, il cuore pesantissimo.
Lei è giù, ventosa, azzurra, bianca, i capelli volano ricci e biondi, è piena di energie. Gli occhi sono rossi per il dispiacere. Forte è la convinzione di star seguendo il proprio destino. Forte è la fatica del seguire questa scelta mille volte rimandata.
C'è un filo che li unisce, che dal ponte va al fiume, lo vedo persino io, sono sguardi e sentimenti, è la totalità simbolica di qualcosa che si allontana e s'allenta fino forse a spezzarsi, appena finisce il ponte, appena in tempo -cinica aggiungerei.
Lui vorrebbe fermarsi, correre indietro, rifare il ponte, scendere per la strada di ghiaino e sabbia e more succose, vorrebbe raggiungerla sulle rive e abbracciarla, e prometterle di diventare tutto quello che lei vuole. Forse anche lei per un attimo teorico vorrebbe adesso che si fermasse, che tornasse in dietro, di sotto, che l'abbracciasse, e diventasse esattamente chi lei vuole. Ma se tornasse, se si fermasse, voltasse, scendesse... il sentimento si ghiaccerebbe in un solo istante. Lui diventerebbe un macigno, il peso di una persona che non la lascia andare. Se lui rimanesse, adesso, il distacco struggente di un amore passato diventerebbe l'incubo delle nuove spiegazioni di un infinito lasciarsi.
Ecco, lo sanno entrambi, anche per questo il filo si tende e l'amore rimane sospeso nell'aria, con tutta la sua forza e la sua dignità. E infatti si salutano con le lacrime agli occhi, e lasciano intatto il sentimento passato, la verità di un amore che è stato.

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