Ultimamente su ogni treno c'è la
polizia. Le braccia ingiacchettate, spalline ben visibili, guanti:
uno indossato da una mano che regge l'altro. La mano nuda apre la
porta scorrevole tra i vagoni, e quella ad anta tra il bagno e la
cabina. Camminano avanti e indietro, da Verona a Bolzano, da Bolzano
a Verona. Passeggiano guardandosi attorno, e sembrano dire:
tranquilli, ci siamo noi. Al loro passaggio mezze persone abbassano
gli occhi, l'altra metà li sfida con lo sguardo. Loro osservano,
cercano. (Nelle lingue slave, perlomeno quel paio da cui mi lascio
affascinare, il verbo cercare e il verbo trovare sono lo stesso
verbo, il primo nell'aspetto imperfettivo – cioè del processo, il
secondo nell'aspetto perfettivo – quello dell'azione compiuta)
Cercano. Sembrano elefanti tra le ceramiche, se si guardasse solo al
loro sguardo e non alla divisa che più che rassicurare manda in
panico, farebbero tenerezza, perché provano a essere gentili,
camminano e cercano ma sembrano non volerlo fare. C'è una tensione
innaturale nelle loro movenze, come dire che tutto va bene ma avere
una pistola in mano. Come sentirsi dire che non si sarà toccati
dalla stessa persona che sta torturando qualcun'altro.
Sorridono con la bocca, senza mostrare
i denti, esaminano con gli occhi.
Carnagione troppo chiara o troppo
scura. Vestiti fuori moda, soprattutto scarpe ginniche di colori
sgargianti e tute sportive in acetato. Suoni di lingue sconosciute,
taglienti o di gola. Ciglia lunghe e sguardi profondi, o forse occhi
cristallini e distanti come la Russia. Cicatrici sul volto. Veli
sulla testa.
Scrutano, camminano, vedono, si
fermano. In ordine chiedono tre cose. Documento – permesso di
soggiorno – biglietto. Non ho mai sentito una domanda ulteriore, ma
ho il dubbio che arriverebbero a chiedere la ricevuta del pagamento
delle bollette di casa. Perché sono certa che vogliono trovare
qualcosa che non va. Sono certa che non concepiscono la legalità se
la carnagione è troppo scura.
Così, appena uno sguardo è troppo
azzurro o troppo cioccolato si fermano. Prima domanda, e il sospetto
dà il documento. Seconda domanda, e il sospetto dà un foglio – ma
è la fotocopia, sbraita quello più giovane, sì ma se porto
l'originale e lo perdo?, chiede il sospetto – se lo perde va in
commissariato e le rilasciano una copia, la legge è chiara, bisogna
circolare con l'originale. E intanto gli sguardi si alzano gli ipod
si stoppano e le orecchie si tendono, e tutta la carrozza segue la
conversazione. Allora il vecchio in blu d'ordinanza dice: ci segua, e
lo straniero: ma le ho dato tutto, e il giovane: venga di là. E il
trio va davanti alla porta dei bagni, e parla uno e parla l'altro, e
qualcuno telefona a qualcuno, documenti in mano, sguardi che
s'interrogano. Poi rientrano, il sospetto forse non è più sospetto,
i mastini sorridono ai “clienti” (e vorrei dire passeggeri, ma
purtroppo trenitalia ci chiama clienti, e non passeggeri) e cercano
qualcun'altro. Di solito, se il documento è ok e il permesso è
originale e tutto è a posto, la polizia chiede il biglietto. E qui
rimango sbigottita, perché non hanno nemmeno il timbratore per
convalidare, non solo polizia ferroviaria, ma proprio polizia... e
chiedono il biglietto del treno. E io trovo pazzesco e poco
rassicurante, nonostante i sorrisi e nonostante le divise, che su
ogni treno ci sia la polizia che cerca gli stranieri, solo e
solamente gli stranieri, e che soprattutto, negli stranieri, cerchi
una ragione che avvalori il loro cercare.
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