Cucisco, come Penelope, ma senza pretendenti e senza abilità, e anche senza attese.
Faccio un nido, mi pungo le dita con gli aghi, non vedo le misure,
i bordi oscillano da uno a cinque centimetri.
Piango e mi pungo.
Rido e mi pungo.
Non so se piangere o ridere.
Non so cucire. I tessuti duri a bucarsi, l'ago si sfila, la stoffa scivola, il filo s'ingarbuglia, i pantaloni s'impigliano, la maglietta s'impiglia, il divano s'impiglia. Tutto ormai parte dello stesso filo.
Come una catenina di oggetti imbastiti per sbaglio.
Tutto si unisce come in un collage, tutto punge e versa una lacrimuccia di sangue e la stoffa s'impregna.
E l'indice destro prega in un basta, invoca un ditale.
Uffa. Niente funziona e impreco silenziosa, tanto nessuno sente.
Circondata dalle rappresentazioni, dalle narrazioni. Provo a interpretare, a leggere il mondo. Cerco brandelli di realtà, poi rinuncio, poi capisco; e senza pretese m'immergo nello scambio.
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