mercoledì 8 settembre 2010

La Passeggiata - un testo dell'inverno


Questo testo è dedicato a Robert Walser, a cui chiedo in prestito il titolo. Mancheranno la sua eleganza quanto i suoi acuti ricami, soprattutto quasi mancherà la miniatura dell’esterno che lui tanto sapientemente sa colorare di vivo.
Sono uscita di casa frustrata l’altra notte, arrabbiata, e pronta a colpire chiunque avesse la sfortuna d’incontrarmi. Ho comprato le sigarette e nella brezza notturna ho acceso la terza sigaretta della giornata. La mia rabbia era dettata dalla solitudine, e dalla mancanza di catarsi, di divertimento leggero. A volte, qui, si vive diligentemente perché non c’è modo di sgarrare. Finita la sigaretta ero all’entrata della ciclabile, vicino al rio. Ipod nelle orecchie, cappotto chiuso, iniziava il buio e i miei passi si facevano ritmici, più veloci, anche i pensieri seguivano lo stesso aritmico flusso. A volte è la musica a pilotare le aree di pensiero, canzoni ricordano momenti, momenti riportano ad altri colori, colori ci ricordano luci, le luci rimandano ai visi, i visi alle emozioni… dobbiamo immaginare tutti questi passaggi velocissimi, il tempo d’una canzone. Quella sera avevo impostato la riproduzione casuale e così erano anche i pensieri: ramdom. E partita Carnaval, di Shumann, opera che non ricordavo nemmeno d’avere in lista. Camminando ho scorto il rio illuminato dalla luna, quasi d’argento, suggestivo, minuscolo, a distanza si scorgeva una strada vuota, in lontananza qualche lampione si faceva puntino luminoso e giallo nel nero. Le stelle invece erano bianche, così come la luna. Stavo già meglio. Ho immaginato di scrivere una lettera a Schnitzler, in questo periodo, come si nota dal titolo rubato, sto esplorando la letteratura tedesca e ne sto rimanendo abbagliata. Caro Schnitzler, già alla seconda pagina de La signorina Else’ ho riguardato la copertina per accettarmi che il tuo nome fosse maschile come ricordavo, per essere certa che fossi un uomo nonostante la tua conoscenza tanto profonda e semplice dell’animo femminile. Sì, Arthur, sei uomo, eppure mi ritrovo nei pensieri che descrivi in prima persona come se fossi donna, nelle realtà che sapientemente narri come fossero storie. A questo punto ho interrotto la lettera e sono giunta ad una profonda verità: le storie sono diverse, ma le spinte, le pulsioni, sono le stesse per tutti, in tutte le storie. Forse basta avere una profonda conoscenza di quegli impulsi per scrivere qualunque storia. Persone leggono i miei testi e vi si ritrovano, io leggo altri testi e ritrovo parti di me e della mia storia. Siamo davvero tutti tanto uguali? Spinti dalla solitudine, dalla rabbia, dal sesso, dalla lealtà, dalla colpa, dal rispetto e dall’amore? È davvero tutto qui? E questo tutto è davvero poco come sembra? Se è così possiamo tutti facilmente capirci, con un pizzico d’empatia potremmo contestualizzare ogni affermazione e accettarla mediata dai filtri che fanno di una persona quella determinata persona e non un chiunque. E questi filtri, quanto influiscono, quanti sono? Mi vengono in mente l’ambiente, la cultura, la natura, la lingua… Questa riflessione ha occupato buona parte della camminata ed ha lasciato scivolare indenni tutti i ventidue pezzi del brano per pianoforte, una canzone di Bjork e una di Kate Bush. Poi quest’ultima mi ha riportato alla mente la neve, quella piccola che cade disordinata in certi giorni senza vento, quando accendere una sigaretta diventa uno dei massimi piaceri perché l’umidità rallenta la combustione e l’odore del tabacco prevale su quello del fumo. Tutto un inverno ho ascoltato Kate con quella neve docile, mentre andavo in teatro ad attaccare adesivi con le date sulle cartoline degli spettacoli. Finite le ore di stage uscivo con la borsa carica di cartoncini ben affrancati da distribuire nei bar e nelle biblioteche, fumavo una sigaretta con le cuffie sotto il berretto e mi sentivo quasi felice. Con l’animo più tranquillo ho segnato con un movimento veloce del piede sinistro il punto d’arrivo e mi sono voltata, quasi piroettando (questa sì che è una parola alla Walser!), il ritorno era più buio dell’andata, la luna alle mie spalle sembrava addormentarsi, e anche le stelle erano di meno, e il vento sembrava più freddo.
Ho immaginato una conversazione con degli amici che non vedo da molto, ma che sento vicini. Iniziavo così: cara C, caro J, non vi conoscete, e siete entrambi distanti, con i Pink Floyd a suonare per me vi penso ora, proprio a un passo dal rio d’argento. Questa notte tutto il mondo è pigramente steso sul divano a guardare il Festival di San Remo, io cammino lenta o veloce a seconda della musica e faccio piccoli passi avanti nella comprensione del mondo. Vi ho già forse detto, anche se con parole diverse, che son certa accadano miracoli pazzeschi ogni giorno, nel mondo in cui viviamo; oggi però nego questa certezza, perché di colpo vedo limpidamente che siamo solo animali autodistruttivi, abbiamo perso qualunque tipo di contatto con la bellezza di ogni respiro, e ci lamentiamo di sputare sangue sul cemento di cui ci siamo circondati. Il rio che sembra fermo, qui al mio fianco, stanotte, è in realtà una lacrima boccheggiante che stride sul fondale, e si lacera incatenata e debole in un corso che non ha più le forze di mutare; il cielo, nero a piccoli e radi pois bianchi, è in realtà il vecchio lenzuolo che avvolge un lebbroso, e quel malato terminale, siamo noi; le vigne secche, che sembrano solo aspettare una primavera che le nutra di vino, sono in realtà   A questo punto ero vicino a un bar, e fuori c’erano quattro, forse cinque vecchi che cantavano a squarciagola, in un modo di discutibile piacevolezza, una canzone a me sconosciuta, forse erano ubriachi, o magari solo felici, perché non ho cantato a squarciagola anch’io prima, in mezzo al nulla? Ho attraversato la strada senza guardare, e affiancato un giardinetto, beandomi delle conquiste che questa passeggiata mi ha portato: “sono più tranquilla innanzitutto”, mi sono detta, “capisco che le pulsioni che spingono ogni azione sono le stesse per tutti, rifletto sull’alienazione che abbiamo raggiunto…” elencandomi le nuove consapevolezze, quasi sorridendo ripensandomi groviglio di inutili nervi quale ero poco prima, ascoltavo l’ultima canzone (Skunk Anansie), e ruf ! un cane, a un volume pazzesco ha abbaiato improvvisamente - ho gridato (davvero!), spontaneamente… un ridicolo, inedito, sorprendente AAAAAAAAA, poi ho riso di cuore per il mio stesso grido e di fronte a me ho notato un bambino che camminava lento e che aveva goduto pienamente della scena, potevo facilmente intuire voleva ridere, ma l’educazione glielo impediva e deformava un po’ il suo viso in un ghigno trattenuto. Appena dopo esserci incrociati ho sentito la risata liberarsi. Mi sono voltata e dopo un secondo ecco che il cane insonne di nuovo ha aperto le zanne e ruf ruf, e il bambino: AAAAAAA! Anche lui aveva gridato, accompagnando, con mia placida soddisfazione, l’emissione vocale a un rapido balzo spontaneo. Il bambino si è girato verso di me, ci siamo guardati camminando in avanti con le teste all’indietro quasi a sfidare le leggi del corpo umano e siamo scoppiati a ridere di gusto, ancora più forte, nel bel mezzo della notte tiranna, in un vicolo abitato da un cane nervosetto.
Casa mia era ormai a un passo, spero anche quella del bambino nottambulo, le mani erano ghiacciate e non avevo raccolto fiori perché l’inverno è il re di febbraio. Ma se li avessi raccolti li conserverei in un libro e rassicurerei l’arzigogolato Walzer: non raccogliamo fiori solo per deporli sulle nostra felicità, li rubiamo come briciole preziose per guardarli da vicino e provare, attraverso ciò che rimane della nostra vista deviata, a scoprirne la magia, e forse li conserviamo in un libro qualunque per lasciarci sorprendere da una secca primavera anche quando, d’inverno, ci vien voglia di leggere un libro dimenticato.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Attraverso la poeticità traspare una forte intelligenza.

3iO ha detto...

=)

Sara Passeggini ha detto...

Anonimo, se non fosse per l'ora piuttosto mattiniera potrebbe parere che l'abbia scritto io!
Prenda posizione, su, su!

Anonimo ha detto...

Veramente l'orario non mi sembra proprio quello corretto, va bene anonimo, ma giornaliero ! Mi sembrava di avere scritto il commento di pomeriggio, come adesso, a meno che non ci troviamo su due universi paralleli.
Per il resto prendo posizione: seduto davanti al piccì a cercare sintomi di non-banalità come quelli che sento provenire dal lontano trentino.

Sara Passeggini ha detto...

l'idea che universi paralleli abbiano orari diversi è proprio bislacca!
Stia attento alla schiena e buona ricerca.

http://www.humanitasalute.it/index.php/benessere-e-stili-di-vita/salute-in-ufficio/3090-mal-di-schiena-da-computer-ecco-come-evitarlo

Anonimo ha detto...

Credo proprio che Blogger abbia qualche conto in sospeso con gli anonimi che scrivono dalle mie terre, oppure, in qualche universo parallelo io mi trovo in questo momento a scrivere dal pacifico o giù di lì ... io faccio le 17 e 40 precise.
Accolgo il consiglio grazie.

Sara Passeggini ha detto...

La immaginerò con un drink in mano anzichè davanti al pc. La prego, se continuerà a seguire questo spazio, d'ora in poi si firmi Anonimo Pacifico...

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