venerdì 8 marzo 2019

Avete voluto la parità...

Lo sento dire sempre, dagli uomini: avete voluto la parità, dalle donne: abbiamo voluto la parità.
Ogni volta penso che sia una frase così piena di insidie da farmi tremare le ginocchia.
Come riprendere la famosa: hai voluto la bici e allora pedala.
Hai voluto la parità? E allora paga la cena.
Hai voluto la parità? E allora lavora.
Provo a destrutturarla, per mia comodità, per aver ben chiare le fallacie, e poi a ragionare sui sottintesi che lascia lì sospesi...

Avete: prima fallacia, abbiamo chi? Solo le donne? Tutte le donne? O a certe andava bene pulire i pavimenti sperando nella paghetta settimanale, andava bene non poter votare? O andava bene il delitto d'onore? O comunque, a chi poteva andar bene che metà società valesse meno (tanto meno) dell'altra metà? È un avete accusatorio e indefinito, che onestamente delinea un noi e un voi che non fa tanto onore a chi lo pronuncia. (tu, persona che ho di fronte e con cui perdo il mio tempo, tu, non l'hai voluto?)

Avete voluto: qui l'errore è che lo fa sembrare un vezzo, un capriccio. Come se fosse una gentile concessione. Vuoi proprio uscire la sera? Fallo. Vuoi metterti una gonna corta? Fallo, ma a tuo rischio e pericolo. Vuoi guidare? Eh va beh, ma poi non lamentarti se devi studiare per fare la patente. E invece io voglio la patente e voglio pure lamentarmi. Cari e care, non è che ho voluto, avrei volentieri evitato di volere in un società più civile. Non è che mi sono svegliata una mattina e ho voluto farmi i capelli viola, piuttosto sono nata in una società dove ogni volta che vado a fare una corsa subisco commenti (sulla corsa, sul mio corpo, sull'andamento lento o veloce, su come possa scopare se voglio dimagrire al posto di correre...), dove vengo esibita come un passo avanti della società perché sono donna e lavoro (giuro, cose tipo: guardate che bravi che siamo, ci sono qui quattro donne in questo mondo del vino), dove a un'amica (per inteso, già madre di famiglia) viene negata una procedura farmacologica a seguito di problematiche col feto perché in quel bell'ospedale del nord Italia non sapevano neanche cos’era; dove a una donna mandano sulla mail di lavoro immagini “divertenti” di suore che mangiano banane. Non è proprio che l'ho voluto, è che non si può fare finta di niente e continuare tutti a sopportare.

La parità: qui è proprio un modo di dire, la questione femminista e quella sulla parità son cose diverse, sono battaglie diverse, e gruppi frammentati, perché si è in quella parte di società che si fa tante domande e si dà tante risposte, e ogni risposta fa un nuovo sottogruppo e così via. I passi avanti in quelli che sono normali diritti civili che prima erano negati a una parte della società, non è che sia proprio parità. È riconoscere la donna almeno a livello legislativo quasi alla pari dell'uomo. E questo secondo me ha relativamente poco a che vedere con tutto il processo di emancipazione dagli stereotipi, con le libertà personali, con la comprensione della complessità dell'individuo e il superamento del concetto di uomo e donna come unico criterio per leggere la società. Manca il livello economico (parità salariale), manca l'indipendenza, manca, nel 2019, di non dover firmare le dimissioni in bianco quando si viene assunte. Non si è capito che tutta la società beneficia dei diritti acquisiti. Insomma, se abbiamo voluto la parità evidentemente non l'abbiamo voluta abbastanza, o abbiamo a un certo punto smesso di volerla.

Sensazioni correlate:
È una frase pericolosa perché ha dei sottintesi, perché lascia in sospeso l'altra metà della frase e suona come una minaccia.
  • Quindi, mettiamo anche che abbia voluto la parità, ma quando a lungo devo pagare?
  • E poi, è curioso che si traduca sempre in qualcosa riferito alle donne, e mai all'uomo stesso, tipo: avete voluto la parità quindi vado a lavare i piatti, quindi lascia stare pulisco il pavimento... sarebbe l'uso grammaticale più logico della frase, no?
  • Perché alla fine sembra che la parità si giochi sempre lì, in cucina, nelle pulizie e nella cura dei figli, nel pagare o nell'offrire una cena, nel non aprire una porta a una persona che esce o che entra. Piccoli gesti di cura reciproca che hanno ben poco a che fare con la società che vorrei, o con quello che “abbiamo voluto”:
    • 10 marzo 1945: per la prima volta le donne votano in Italia.
    • 1975: diritto di famiglia.
    • 1978: legge 194 (ma qui bisogna anche parlare degli obiettori, una media del 70% con picchi del 90% al sud).
    • agosto 1981: viene abolito l'articolo del codice penale 587 relativo al delitto d'onore e di conseguenza anche al 544 sul matrimonio riparatore.
    • 15 febbraio 1996: la violenza sessuale smette di essere un reato contro la morale pubblica e diventa reato contro la persona.
    • 2001: tutela contro le violenze domestiche.
    • 2009: stalking.

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