giovedì 7 febbraio 2019

appunti sul libro della madre, e una bellissima citazione

In lontananza, sui campi e lungo la strada, si avvicinarono dei puntolini neri. Si ingrandirono sempre di più. Gli uomini. Gli uomini che tornavano, in uniforme, con lo zaino militare e il fucile in spalla. Ridevano e salutavano, ormai riconoscibili uno per uno. Mia madre alzò una mano, salutò anche lei. «Cane» disse al cane. «D’ora in poi dovremo sopravvivere alla pace, noi due».
(Il grande amore di mia madre, Widmer)

Lavoro a un libro toccante e molto bello, tradotto con la profondità e la spigliatezza con cui, sono certa, è stato scritto. È un libro che mi scatena una sorta di dispiacere intimo. È un figlio, adulto, che racconta una madre. La racconta con severità e con colore, a tratti con un po' d'affetto, torna alle radici, agli avi e lì si mischia alla leggenda, fa un salto in un'Italia passata e contadina, poi si riavvicina a quel presente di prima di lui e poi al presente con lui. Sempre, in tutto il testo, non sento rabbia, sento distanza. Una distanza però che mi pare sia il modo, di Widmer, di capirla, questa madre, una distanza che studia, non che allontana.
Forse il dispiacere non sta nel racconto, nei fatti (sebbene abbia avuto una vita segnata dalla sofferenza, questa madre), non sta nel dentro del libro, che è intimo e non giudicante, il dispiacere che provo riguarda il titolo, è lì, che secondo me, manifesta il suo rancore: Il grande amore di mia madre. Non un libro sulla madre, a specchio di quello del padre (altrettanto bello, ma un bel po' più affettuoso). Mi piacerebbe sapere se il titolo è venuto così, se c'ha pensato, se è proprio una scelta sua o dell'editore, se è un tentativo ennesimo di provare a dire a quel mostro dell'amore della madre che è colpa sua, che ha rovinato una vita o forse di più (ma visto come si conclude il libro non credo proprio).

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