Camminavo assorta nei pensieri, alla
sinistra il lago, lucente, blu, con le montagne a scendervi dentro.
Tanto vento sulla passeggiata, qualche albero frondoso, laggiù in
fondo una nuvola di quelle a base piatta e testa rigonfia.
Camminavo e pensavo e ripensavo a
quella lettera, la lettera della fine del grande amore. Nella mia
testa iniziava così: è ora di riconoscerlo, stiamo temporeggiando
per viltà; né io né tu riusciamo a chiudere, e trasciniamo con
dolore e poco dignità questo rapporto. Come quando in Kurkov al
ladro viene tagliata una mano, ma la lama non è affilata e rimane
una vena-un legamento, non ricordo, e la mano non è staccata del
tutto dal corpo, penzola. Ecco, per certi versi siamo ridotti così,
a penzolare. Poi il pensiero passava alle scarpe, ché ogni stagione
c'è il dramma delle scarpe della stagione da comprare, e l'estate è
più difficile dell'inverno, perché non voglio sandali, li odio i
sandali, voglio scarpette chiuse e leggere, da poter mettere con un
vestito e con cui macinare tutti i chilometri macinabili in una
stagione, e pensavo che sono disposta a investire un capitale, e giro
cento negozi di scarpe e nessuna va bene. E poi forse il pensiero
stava trascinandosi verso Anna karenina, perché la vorrei proprio
comprare nell'ultima pubblicazione di Einaudi, quando alla mia
sinistra passa una bici con un padre, a seguirlo passa una bici con
la madre, e poi un bambino, con tanto di caschetto, il bambino perde
l'equilibrio e a rallentatore s'accascia sul proprio ginocchio,
cadendo di lato ma tenendo la bici dritta con le mani, sicché pare
quasi incastrato.
Questione di un attimo, un attimo
lunghissimo come tutti gli attimi magici.
Vedo il bambino che cade a rallentatore
e non si fa male, m'appresso verso di lui e l'unica cosa che faccio è
tenere su la bici. Con la mano sinistra reggo il manubrio.
Il bambino capisce il mio intento e si
scastra dalla bici.
Quando ha fatto alza il viso e quasi il
suo naso tocca il mio naso, di colpo una vicinanza insolita.
Ha gli occhi azzurrissimi e lucidi,
come se fosse stato sul punto di piangere ma non avesse pianto.
Ha il visetto abbronzato e delle
lentiggini sul naso.
Ha uno spazio tra i denti davanti.
Con quegli occhi azzurri che quasi
toccano i miei, dopo un attimo di sorpresa dice: danke.
Con il subbuglio nell'animo per quella
vicinanza, il cuore che batte forte e la sensazione di piangere a mia
volta, non so bene perché, dico: bitte. E vado per la mia strada.
Passo dopo passo sento il cuore che si
calma, e mi pare di aver condiviso un'esperienza magica con quel
bambino tedesco, mi sembra di aver cambiato la sua vita e lui la mia.
E rido di me per questo pensiero, e mi
chiedo perché tutta questa emozione forte per un niente.
Anche adesso che lo scrivo, le lacrime
agli occhi, colma di emozione.
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