Aisha è caduta dalla sedia, prima si
dondolava, le ho chiesto di smettere ma continuava cercando la mia
attenzione, allora mi sono avvicinata, le ho raddrizzato la sedia,
lei spingeva indietro, allora l'ho inclinata un po' e poi l'ho
riportata a posto. Poi l'ho fatta scendere fino a terra, poi l'ho
ritirata su.
Il gioco doveva finire. Le ho detto,
adesso non guardo più, mi giro ma non ti tengo su, basta così. Lei
s'è dondolata un po' cercando la mia attenzione, le ho fatto segno
di no, mi sono voltata verso altri bambini, ho sentito il tonfo.
Sono corsa lì, ho guardato se s'era
fatta male, ha fatto la faccia da moribonda, ma scherzava, stava
bene, di sicuro una botta. S'è rialzata, ha fatto altro, ho ancora
il tonfo nelle orecchie.
È a forma di scatola la stanza, ha una
tv sul fondo, due tavoloni in mezzo con due panche, qualche scatola
di giochi negli angoli, una vecchia pianola elettrica, pezzi di
rotaia di plastica gialli e verdi, puzzle e carte da gioco. Sono per
lo più giochi vecchi e consunti, mezzi rotti e comunque lì come se
fossero buttati via. Ci sono sei seggioline davanti alla tv. Il
pupazzetto più conteso della mattinata un teletabbis giallo,
piuttosto pesante.
Si è rovesciata la panca a un certo
punto e c'è rimasto sotto un piede, non so di chi, il nome intendo.
Un piedino nero dalle dita larghe e dalle unghie larghe. Un piedino
nero con attaccata una bambina nera di quattro cinque anni. Le
scendevano le lacrime da quegli occhioni, e le lacrime rigavano il
viso, letteralmente, come le colasse il trucco. Immagino che la
lacrima togliesse della polvere rimasta sulle guance, volevo lavarle
il viso, ma non sapevo, non so, dove sono i bagni.
Alex è il mio preferito, di già. È
l'unico bambino (ma aisha gli fa concorrenza quanto a mascolinità –
ricorda un po' la lesbicona con lo sguardo matto di orange is the new
black), ha i capelli stopposi, il viso largo e solare, un bel
sorriso. È paziente e gli piacciono le bici, ne abbiamo disegnate un
paio. Dice se moi se toi, ripete ogni parola, pare capire.
A un certo punto tutti quanti, quasi in
coro ma con le voci sottovoce, dicevo gateau, gateau, gateau.
Sussurrato, lamentoso. Piuttosto divertente, mi sono unita al gruppo.
Tanto corpo, nell'affetto, nella lite,
tutto col corpo, persino il parlare sembra un verso del corpo e non
un articolare il discorso. Tanti abbracci, solletico, carezze,
stoppate, calci. Tante polemiche, tra i bambini malesi, contro i
bambini nigeriani che si portano i giochi comuni a casa.
Uno della sicurezza ha un rapporto
strampalato e privilegiato con Aisha, si vede che a lei lui piace, lo
cerca, lo provoca (non maliziosamente, lo provoca facendo davanti a
lui quello che non deve fare: superare staccionate, dare pizzichi,
sdraiarsi per terra in attesa del niente...), lui reagisce con un
tira e molla emotivo in cui ricambia affetto e attenzione con il
fatto che lei la smetta di fare quello che sta facendo e non dovrebbe
fare. I teatrini tra loro sono piuttosto noiosi ed evidentemente
diseducativi, ma c'è qualcosa di molto umano in questo affezionarsi
reciproco. La guardia sa i nomi dei bambini, s'accolla di aiutarci a
riaccompagnarli alle baracche, ha una carezza per la testa di ognuno.
È un ragazzo del sud, forse ha la mia età forse è più giovane,
non ricordo il nome, polemizza anche lui sul fatto che la protezione
civile tolga le casette e metta i profughi nelle baracche.
Le baracche sono parallelepipedi con
dentro una decina di letti a castello. Il bagno è un altro
parallelepipedo in comune, la cucina non c'è, i pasti vengono
portati.
A un certo punto una bambina, anche
grandicella, alta magra, con gli zigomi alti e regali e una pelle
bellissima, si accascia sul parapetto della strada, come fosse
stremata, un po' provo a convincerla ad andare verso casa che è ora
di mangiare, un po' mi pare mi stia prendendo in giro, non capisco
perché dovrebbe essere stremata o rendere più difficile tutto;
quindi la lascio appoggiata a sonnecchiare e proseguo, dico alla
guardia che non capisco cos'abbia Benedict, ma probabilmente ci
raggiungerà. Lui la guarda e dice, quando fa così mi pare uguale a
suo papà.
Per un attimo riportando il gruppo
pigro di bambini alle baracche ho avuto l'impressione che facessero
apposta a fare gli scalmanati gli stanchi i perditempo, avevano un
po' d'attenzione, e la volevano usare tutta.
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