La stanza è spoglia, una libreria piccola sul fondo, tre grandi quadri su due pareti, una scrivania un po’ vecchia, in legno, con sopra niente, solo un foglio, forse una penna. Dietro la scrivania, sulla sinistra, un comodino con sopra un fax con dentro dei fogli di una qualche pubblicità mandata via fax. Appoggiata per terra al piede destro della scrivania una borsa sottile in pelle.
Il nostro dottore è molto alto, snello, ha gli occhiali e i capelli castani, un po’ ricci, comunque alti anche loro. A tratti ha gli occhi che sorridono. È pungente e prende qualche appunto. Ogni tanto ci blocca, fa qualche domanda. Poi sentenzia o così sembra. Una parete della stanza è coperta da una grande tenda verde tavolino da mensa, come quelle finte finestre degli interrogatori, per sbirciare nella stanza attigua. Tutto nella stanza ha i toni del marrone, del beige, del sabbia, del bosco, di un colto solido vecchiume.
Mi sento a mio agio, è spoglia e poco moderna, e di vecchi materiali da soffitta ma le poltroncine sono comode, la scrivania mi ricorda la mia vecchia scrivania. Quella che mi ha regalato il papà.
Chi comincia?
Comincio io che sono il cattivo.
Circondata dalle rappresentazioni, dalle narrazioni. Provo a interpretare, a leggere il mondo. Cerco brandelli di realtà, poi rinuncio, poi capisco; e senza pretese m'immergo nello scambio.
Nessun commento:
Posta un commento