All'università ho scoperto di avere un
corpo. Me lo hanno detto. A un laboratorio teatrale, in una sala
grande e luminosa, con pavimenti in legno, ci hanno guardato e ci
hanno detto: Avete un corpo.
E allora ho capito che avevo un corpo e
che potevo usarlo. Decidere come camminare, come ridere, se e come
allenarlo (questo dello sport è arrivato dopo), allungarlo,
torcerlo. Un corpo tutto mio. Non so perché prima non lo avessi mai
saputo. Non ci avevo mai pensato. Forse è colpa della religione, o
dell'educazione, degli ideali (non nel senso di ideale-perfetto, nel
senso di idee alte per cambiare il mondo), e di una sorta di pudore
di tutto quello che esce dal corpo.
Il sudore no, le feci no, gli odori no,
i rumori no – l'urina è concessa, lo sputo è concesso, il
brontolio della pancia no, i rutti no, neanche i peti.
Che percorso per dire queste parole.
Anche solo dirle. Anche solo riconoscerne l'esistenza.
Azioni consentite poche e private, e
per il resto negare, assottigliare, rendere invisibile.
Gli anni Novanta.
Comunque all'università ho capito che
avevo un corpo e che non mi piaceva per niente. E neanche agli altri
piaceva, era troppo grosso o troppo molle. Sì begli occhi e bel viso
angelicato e i capelli lunghi lunghi, e la schiena forte. Ma poi i
fianchi erano larghi e la pancia forse era grossa anche se la tiravo
in dentro. Ma intanto facevo teatro e capriole, e allargavo le mani
come nella commedia dell'arte, e allenavo la voce fin nella schiena,
e respiravo, respiravo. Non so quanto ho respirato negli anni di
teatro, in tutti i modi possibili, sessioni di mezz'ora di respiro
col sonno che bussava negli occhi.
Respirare sì, russare no. Sì anche a
certe voci che nascono dalla pancia, dalla gola. La voce del dentro,
né della bocca, né della testa; del corpo.
Piccoli passi banali per una parte di
mondo, piccoli passi mai fatti per un'altra parte di mondo (certi
vecchi, certe vecchie. Ho sentito storie di vecchie che non si sono
mai guardate nude, che si sono lavate a pezzettini una vita intera.)
Eppure per i vecchi le feci sì, gli
odori sì. Tutto il corpo che macera (marcisce?) dentro, in qualche
modo, sì.
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