mercoledì 27 aprile 2016

come pianeti

E così anche T. aspetta un bambino, o una bambina. Ogni volta che succede, che qualcuno a me caro stia per figliare, mi prende una sorta di ansia, rimetto in dubbio tutto un sistema ben consolidato di naturale rifiuto della maternità. T. aspetta un bambino o una bambina tra un paio di mesi. Aspettare, che parola interessante usiamo. Aspettare come attendere, quasi un verbo dal significato passivo, si aspetta che qualcuno nasca o compia un'azione – si aspetta, si sta fermi e il tempo passa e qualcosa capita, qualcuno fa. Ma qui divago.
Dicevo che ho saputo che T. aspetta un bambino o una bambina, e l'ho saputo in mezzo alla folla, su un marciapiede, come stai? Bene e tu? Bene dai. Novità? Eh sì noi siamo in dolce attesa (suona male a scriverlo, malissimo, dolce attesa, gesù!) nasce tra un paio di mesi.
E bu-bum.
Poi non so, non so se ho chiesto se sanno già se è un bambino o una bambina o cosa ho detto, da lì so solo che poi D. mi teneva a braccetto e camminavamo tra la folla, e a ogni bancarella di caramelle volevo fermarmi e comprarne tante e mangiarle a pugni, cuori di pesca insieme ai puffi e alle fragoline e ai pesciolini tropicali e forse avrei anche comprato delle dentiere anche se non mi sono mai piaciute tanto, sempre un po' durette e troppo grosse, con quel sapore di rosa stantìo e di vecchia panna montata troppo dolce, le dentiere mi piacciono addirittura meno delle bananine, e il sapore banana mi dà la nausea, anche in treno, qualcuno si mangia una banana e riempie il vagone di odore e lo odio. Comunque non ho comprato caramelle, ho camminato sostenuta da D. e ho solo immaginato di mangiarle a pugni, poi di colpo eravamo alle giostre, e lì di colpo mi sentivo meglio, avevo 'sta musica tamarra sputata in faccia da un altoparlante gigante, c'era qualche gocciolina di pioggia e il fresco nonostante tutta la folla, e i ragazze e le ragazze che volavano sopra la mia testa, e l'aria fresca in faccia, l'ho già detto del fresco, ma la ricordo proprio quell'aria fresca, come il venticello del calci in culo che scompiglia i capelli. E D., l'eroe, il mio eroe, ha detto andiamo, andiamo sul calci in culo. E io ho detto, ok, ma spingo io. E così abbiamo preso due biglietti e ci siamo mimetizzati coi ragazzi e le ragazze (improbabile che fossimo mimetici sul serio, ma mi piace pensarlo) e abbiamo volato, con la musica tamarra in faccia e il vento in faccia, e quel ferro di protezione che sega la pancia. E spingevo D. e lui volava e poi ruotava su se stesso e poi attorno all'asse, e c'era qualche gocciolina e quell'abbandono, qualche minuto di abbandono, ed è stato bellissimo, come pianeti, come pianeti.

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