martedì 29 settembre 2015

Strangosar

L'ho sentita dopo tanto tempo oggi questa parola. Camminavo, e vicino a una vecchia lavanderia chiusa una vecchia signora parlava sul portone con un'altra signora, appena più giovane. Mentre passavo la più vecchia ha detto: Strangoso anca mi den posto come quel lì. O questo era il senso e mi son dimenticata le parole giuste, a parte quella parola lì, la chiave: strangosar.
Che parola da appuntarsi. Non trovo un corrispettivo, vuol dire: far gola, è un volere che ha dentro un po' d'invidia, e, ma forse qui azzardo, ha dentro la possibilità e il vietarsi allo stesso tempo.
Mi pare sia una parola che contiene la spinta verso e il freno a. Un freno morale prima che materiale, una possibilità che non ci si concede, un limite che si dà a se stessi, il nome che si può dare a un vizio che non ci si permette, a un'occasione a cui non ci si abbandona deliberatamente, perché c'è qualcosa, in quella occasione, in quel volere, in quel vizio, qualcosa che non sta bene, di cui è giusto privarsi.
Una tensione non allentata, un verbo che nomina quell'attimo in cui il cervello domina sulla pancia senza dirle le bugie, senza far finta di niente, una parola che prende atto del desiderio e lo imbalsama così, come desiderio.

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