Ritrovo la nonna nei libri che leggo.
La nonna nei libri diventa la mia nonna libro dopo libro.
Il segno della croce fatto sul palato
con la lingua ad esempio, è della mia nonna oltre che della nonna
del libro di Maja Haderlap? O ricalco le nonne in assenza della mia?
E il con un sei e con un quattro ecco un viso bello è fatto, è
della nonna che senza staccare la matita dal foglio mi disegnava una
faccia stilizzata coi numeri oltre che del libro di Marquez? C'è un
antico sapere che a me portava la nonna che ritrovo nella
letteratura. E quando lo trovo mi ci abbandono. Come in quegli anni
d'infanzia sul terrazzo, in campagna, sotto il gelso, a montalbano
con pausa forzata sulla panchina a metà strada, sulla seggiolina
bianca e la nonna sul divano a giocare a carte. A briscola, tresette
marianna, scopa (raramente, persino la poca passione per questo gioco
m'ha trasmesso), certe volte i solitari e colorare e imparare
filastrocche e poesie. Certi giorni mi chiedo quanto sono debitrice
alla nonna per lo sguardo inevitabilmente narrativo che ho sul mondo.
Mi chiedo quanto quelle filastrocche abbiano influito sul mio sentire
il ritmo, su quanto le sue storie, i suoi giochi con le dita (quelle
dita grassocce con la fede sempre pulita e luminosa e le unghie
fortissime forse troppo forti e curate, con quegli smalti perlati,
rosa, bianchi grigi a volte) abbiano cambiato il mio modo di pensare
mentre mi facevano crescere. Più cresco e più rileggo il mondo
dell'infanzia, più mi rendo conto di quanto sia debitrice a quella
donna di cui non so nulla se non la sua nonnitudine. E continuo a
ritrovarla nei libri degli altri, ad aggiungere ricordi ai ricordi.
Sempre lì, nel giardino dell'infanzia.
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