Non entro mai nella stanza chiusa,
raramente apro l'armadio che profuma di vecchia lavanda.
Oggi mi hanno parlato della nonna,
spesso mi dimentico che vivo nella sua casa, ho ridipinto le pareti,
spostato i mobili, e questo così tante volte che ormai la nonna non
è più proiettata da nessuna parte dai ricordi. A volte, solo a
volte sul tavolo della cucina, mentre fa una crostata, col mattarello
pesante, e sul ripiano in legno. Una montagnola d'ingredienti e sulla
cima ciak ciak, un paio di uova fresche aperte e versate una alla volta con una mano
sola – mi guarda e mi chiede di spostarle gli occhiali appoggiati
lì vicino, che sennò s'infarinano. O appollaiata su una sedia,
mentre mangia in una tazza bianca dalle decorazioni blu un carciofo
col cucchiaino e guarda telenovelas sudamericane.
Un giorno, ero alle elementari, ho
chiamato un'amica per chiederle i compiti. La nonna era lì seduta
vicino a me, e giocava con le cose nel mio astuccio. La nonna era una
da astucci e comparti, divisori, sacchettini e borsettine dentro alle borse e
fazzoletti profumati e stirati in quadrati perfetti. Era una da tabelline e poesie recitate senza dubbi, da partite alle carte tutto il pomeriggio sotto la pergola. Frugava nel mio
astuccio, giocherellava, ha preso in mano un evidenziatore e mi ha
chiesto cosa fosse. Un evidenziatore rosa le ho detto. L'ha provato
su un angolo del giornale, le ho spiegato a cosa servisse ed era
felice. E sorridente ha espresso un concetto che io ricordo ancora e
che a tratti ho usato come motto della mia vita: che vale la pena di
vivere se a sessantanni ancora scopre cose nuove, e chissà cosa
inventeranno l'anno prossimo. E io penso di aver riso, e poi quando
la nonna è morta di aver pianto tutte le mie lacrime pensando a
quello che mai avrebbe scoperto. E certi giorni ci penso, quando
scrivo una mail, quando m'imbatto in una foto dello spremiagrumi di
Stark.
Oggi mi hanno parlato della nonna e dei
rapporti che c'erano tra le famiglie.
Aiuto. Schietto aiuto. Sorreggersi.
Io sono una sfegatata fan
dell'individualismo, rinchiusa dietro a inviolabili cancelli di
solitudine, forza, paure, speranze. Sono quella che non c'è mai
sulle foto di gruppo, perché non mi piacciono i gruppi, non riesco a
relazionarmi con tante persone insieme, non mi piacciono le dinamiche
del tutti per uno. E non è cattiveria, è piuttosto paura, desiderio
di completezza, poca pazienza.
Però quando sento i racconti del
passato li ascolto con un luccichio negli occhi, e mi accorgo che mi
manca qualcosa. Mi manca quel colore giallo raccolto dell'infanzia,
che è il colore delle foto dell'infanzia, e anche dei miei ricordi
pieni di adulti in campagna, della vendemmia insieme e io che provo a
guidare un trattore, e di amici che fanno legna insieme e poi se la
dividono, e di porte appena appoggiate e mai chiuse a chiave.
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